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Intesa in sei punti sulla Pa: nei contratti lavoro agile, formazione e più premi

Brunetta incontra domani i sindacati per far partire il rinnovo degli accordi nazionali: sul tavolo 6,7 miliardi per 107 euro lordi medi al mese

di Gianni Trovati

Il «Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale» firmato ieri a Palazzo Chigi parte dal rinnovo dei contratti nazionali del pubblico impiego. Una partita da 6,7 miliardi di euro fra pubblica amministrazione centrale (3,8 miliardi) e territoriale (2,9 miliardi), che offre 107 euro lordi di aumento mensile medio. Su queste cifre, a dicembre i sindacati avevano svolto una giornata di sciopero nazionale quasi ignorata dai dipendenti. Ma l’aria ora è cambiata.

L’intesa con Cgil, Cisl e Uil preparata dal ministro della Pa Renato Brunetta e firmata ieri nella Sala Verde di Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Mario Draghi ha prima di tutto un valore politico. E punta a replicare quello spirito di coesione che nel ’93 portò Carlo Azeglio Ciampi a costruire la nuova politica dei redditi (Brunetta era all’epoca consigliere economico della presidenza del Consiglio) nel nuovo contesto dell’Italia che andrà ricostruita dopo la pandemia. E la scelta, «probabilmente unica in Europa» rivendica Brunetta, è quella di mettere al centro i lavoratori pubblici, «volto della Repubblica» secondo la definizione del presidente Mattarella richiamata ieri.

Ma proprio le urgenze della crisi pandemica non lasciano troppo tempo al passaggio dai principi ai fatti. La Funzione pubblica decide allora di accelerare subito, convocando già domani tutte le confederazioni sindacali rappresentative (come anticipato sul Sole 24 Ore di ieri) per l’avvio delle trattative. Mentre il decreto Recovery di aprile dovrà occuparsi della prima sfrondata a una serie di vecchie norme sul pubblico impiego, a partire da quelle che hanno congelato la spesa per le assunzioni a termine e il valore dei fondi integrativi. I sei punti in cui è articolata l’intesa costruiscono una griglia operativa puntuale, che va oltre gli orientamenti generali tipici dei protocolli per entrare nel merito. Primo: la contrattazione decentrata avrà più forza, perché saranno cancellati i tetti che congelano ai livelli del 2016 i fondi integrativi (articolo 23, comma 2 del decreto legislativo Madia 75 del 2017). Il secondo livello punta a diventare «l’elemento fondamentale della gestione del personale», spiega il presidente dell’Aran Antonio Naddeo; all’interno di un quadro anche normativo più flessibile, che secondo il Patto dovrà estendere al pubblico le agevolazioni fiscali previste nel settore privato per welfare aziendale, previdenza complementare e premi.

In parallelo con il rinnovo contrattuale dovrà arrivare a dama il lavoro avviato per rivedere le griglie rigide dell’ordinamento professionale che hanno ingessato le amministrazioni e le hanno via via allontanate dall’evoluzione dei bisogni della società. Questo riscrittura della geografia del lavoro pubblico punterà anche a dare spazio alle alte professionalità «non dirigenziali dotate di competenze e conoscenze specialistiche», in grado di «assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali»: figure oggi di fatto assenti nella gerarchia ufficiale pubblica.

Il nuovo impianto sarà finanziato da nuove risorse nella manovra 2022, promette il Patto, e sarà affiancato da una spinta alle carriere individuali «per valorizzare e riconoscere competenze acquisite negli anni». Il contratto si occuperà poi anche delle fasce di reddito più basse, che vedranno consolidato nello stipendio base l’«elemento perequativo», l’appendice (fino a circa 30 euro al mese) introdotta dal contratto 2016/2018 per gli stipendi fino a 26mila euro lordi che avrebbero perso il bonus da 80 euro per effetto degli aumenti in busta paga. Accanto al «dare» però l’accordo prevede anche una colonna dell’«avere». Perché il congelamento dei fondi decentrati per i premi in busta paga è nato dall’assenza di un sistema efficace per la valutazione. Per questa ragione l’obiettivo dichiarato dall’intesa di ieri è di «puntare sulla valutazione oggettiva della produttività e la sua valorizzazione economica e professionale». Un punto di principio che promette di accendere discussioni accese.I nuovi contratti dovranno poi disciplinare lo Smart Working, imposto dalla pandemia ma destinato a sopravviverle, per costruire nuovi parametri di valutazione del lavoro agile ma anche per fissare i diritti alla «disconnessione, formazione specifica e tutela dei dati personali».

Tutte novità impossibili da affrontare senza ripartire dalla formazione, una delle vittime illustri della stagione dei tagli di spesa: oggi questa voce vale 48 euro a dipendente, e garantisce quindi un giorno di formazione all’anno. Cioè nulla.

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