Fisco e contabilità

Caso dissesto a Reggio Calabria, la Consulta dice la parola «fine»

di Ettore Jorio

Tanto tuonò che piovve sulla città metropolitana di Reggio Calabria. La Corte costituzionale con la sentenza n. 115/2020 (redattore, Aldo Carosi) depositata lo scorso 23 giugno, ha, verosimilmente, detto la parola fine all'annosa vicenda che ha visto la Città dello Stretto impegnata nella dichiarazione di dissesto (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 24 giugno).

La fine di un eterno via vai
Con questa sentenza, la Consulta ha segnato l'epilogo dell'eterno confronto «processuale» tra il Comune e la magistratura contabile. Un evento che si concretizza in una fase delicata per i reggini, chiamati peraltro a scegliere, a breve, il loro nuovo sindaco.
La sentenza non risparmia critiche pesanti al sistema gestorio degli ultimi anni scandendo precise responsabilità degli agenti, ribadendo le critiche e le eccezioni mosse al Comune di Napoli con la sentenza n. 18/2019 (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 1° marzo 2019), ma anche con la n. 105/2019 riferibile al predissesto del comune di Pozzallo.

Uno stop alle leggi ad personam
Il «casus belli» nasce da una puntuale e ben motivata ordinanza (la n. 108 del 26 agosto 2019) della Sezione regionale di controllo per la Calabria della Corte dei conti, con la quale solleva la questione di legittimità costituzionale del Dl 34/2019, convertito dalla legge 58/2019 (decreto salva Reggio Calabria). Più esattamente, del'articolo 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, il primo dei quali introduttivo della nuova tabella di cui al comma 5-bis del Tuel, riguardante il rapporto passività/impegni e la durata del piano di riequilibrio relativo. Il tutto «condito» dall'opportunità resa ai Comuni che avessero fatto ricorso al predissesto entro il 14 febbraio 2019 (equivalente al deposito della sentenza della Consulta n. 18/2019), in base all'articolo 1, comma 714, della legge 208/2015, di potere godere della facoltà di riproporre il loro piano di riequilibrio, rimodulandolo ovvero riformulandolo, utilizzando il maggiore termine disponibile e attualizzando, attraverso il suo ricalcolo, il saldo del disavanzo secondo quello disciplinato rispettivamente negli altri due commi (2-bis e 2-ter).

I perché della decisione
Una disciplina che non è andata giù alla Corte costituzionale, dato il suo chiaro intento dilatorio e la palese violazione di importanti principi della Carta, prioritariamente di quelli sanciti negli articoli 81, 97, primo comma, e 117 ultimo comma. La stessa ha quindi ritenuto - nel fisiologico sviluppo del suo esame sulle fattispecie sottoposte al suo giudizio, prima dalla Sezione di controllo napoletana, riguardante la Città capoluogo di regione, e poi di quella calabrese, afferente alla città reggina - pronunciarsi, rispettivamente, con le sentenze n. 18/2019 e, dunque, n. 115/2020. Le sentenze hanno entrambe prodotto - rimuovendo dall'ordinamento le norme che disponevano la dilazione dei tempi di attuazione degli strumenti di riequilibrio, addirittura sino a30 anni e poi ritornati a 20 a seguito della sentenza della Consulta n. 18/2019, con conseguente violazione del principio di equilibrio di bilancio nelle «declinazioni» di quello dinamico e intergenerazionale - l'inefficacia dei piani rimodulati da entrambe le Città metropolitane. Con questo, considerata la loro autoapplicatività, hanno rimesso all'esame delle rispettive Sezioni regionali di controllo l'originario piano di riequilibrio decennale, con il contestuale obbligo delle amministrazioni interessate di attualizzare preventivamente il maggiore disavanzo generatosi, nelle more dei tentativi dilatori esperiti con le intervenute modifiche a mente delle leggi del tempo, non più vigenti per riconosciuta incostituzionalità.
Nella decisioni della Consulta ha, ovviamente, pesato il vulnus - determinato dall'eccessivo allungamento dei termini originariamente posti a base del ricorso all'originario predissesto - dell'intento degli amministratori di disimpegnarsi del peso delle gestioni finanziarie di loro competenza e di deresponsabilizzarsi del dovere di risanamento dell'ente con conseguente spostamento dell'onere relativo sulle generazioni future. Ciò in palese violazione dei principi di responsabilità nell'esercizio del mandato elettivo, da doversi ispirare alla continua ricerca della stabilità economica di media e lunga durata dell'ente cui si è preposti (sentenza n. 18/2019), oltre a quelli che sanciscono la sana gestione finanziaria del bilancio e la corretta copertura pluriennale della spesa.

La ricaduta
A fronte di tutto ciò, cosa dovrà fare pertanto la Sezione di controllo regionale di Catanzaro relativamente alla procedura di riequilibrio pluriennale, intrapresa dalla città di Reggio Calabria nel lontano 2013, a cura allora della Commissione straordinaria, e più volte oggetto del tentativo di allungare la sua durata sino a 20/30 anni rispetto agli iniziali dieci anni? Dovrà riprendere e completare l'istruttoria del primitivo strumento di risanamento - quello rieditato (con delibera comunale 142/2015) in forza del Dl 35/2013 - ma con disavanzo rideterminato e attualizzato nei suoi più recenti valori, tenendo conto ovviamente degli obiettivi intermedi conseguiti nel frattempo dall'amministrazione interessata.
Il maggiore problema da superare, per la Città dello Stretto, sarà pertanto quello della determinazione del saldo da ripianare. Ciò in quanto i valori di deficit riportati nella sentenza (punto 7.1), già di per sé molto impegnativi, potrebbero rivelarsi nella realtà ben più consistenti, tenuto anche conto della partita dare/avere ancora aperta con la Regione Calabria in tema di dovuto plurimilionario del Comune in materia di acqua e rifiuti. Così come si renderà, pare, ardua per l'amministrazione reggina la rendicontazione e l'ammortamento delle anticipazioni di liquidità, godute grazie al Dl 35/2013, per circa 259 milioni, nonché del «prestito» regionale di circa 65 milioni generato a copertura di spese correnti (acqua), sui quali il giudice costituzionale sembra nutrire un qualche dubbio.
C'è dunque il verosimile rischio che - in caso di indimostrato miglioramento dei conti ovvero di un loro peggioramento dal 2013 ad oggi - quello che sembra essere oggi uno scacco al Re si trasformi in uno «scacco matto» alla città re(g)gina.

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