Il CommentoFisco e contabilità

Il paradosso del predissesto che dura più del default

di Stefano Pozzoli

Il decreto Semplificazioni, all'articolo 17, gioca la carta del rinvio sulle disposizioni riguardanti i Comuni in disequilibrio (Enti locali e edilizia del 15 luglio), consentendo così di evitare il dissesto di Comuni importanti quali Napoli e Reggio Calabria, e facendo una scelta in linea con le disposizioni emergenziali che riguardano le società.

La norma consente dunque di guadagnare un po’ di tempo ma non risolve certo la questione, sostanziale, sollevata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 115/2020, che ha avuto il merito di riportare sul piano della concretezza la discussione sui piani di riequilibrio ex articolo 243-bis del Dlgs 267/2000.

A questo punto, però, serve una riforma che renda il predissesto una soluzione e non un semplice procastinarsi della procedura di dissesto, utile a sollevare qualcuno dalle proprie responsabilità politiche e amministrative piuttosto che a risanare i conti del Comune.

La prima constatazione è che, paradossalmente, il tempo che si presume serva per il riequilibrio con questa procedura è, nei casi più gravi in cui la durata può essere ventennale, più lungo di quello che mediamente occorre normalmente a un Comune per uscire da un dissesto (ammesso che poi il dissesto non sia l’epilogo della procedura di predissesto). E che finisca, come puntualmente rilevato dalla Corte Costituzionale, a incancrenire i problemi piuttosto che a risolverli.

La prima impressione è che il piano di riequilibrio sia meno efficace, anche se destinato a risolvere crisi in teoria meno gravi, del dissesto stesso.

Uno dei limiti è il fatto che la procedura non è certo agile, visto il ruolo di commissione ex articolo 155 e della Sezione di controllo della Corte dei Conti. L’aspetto burocratico, però, non è il peggiore dei difetti. Il punto dolente è la totale assenza di una visione organizzativa del risanamento. I piani si riducono a una compilazione di qualche foglio Excel senza un alcun riscontro sulle possibilità effettive di arrivare a un risanamento.

Anzitutto, è possibile che a gestire il riequilibrio siano gli stessi dirigenti che hanno consentito di arrivare al disequilibrio?

Forse sì, ma sembra necessario che l’amministrazione comunale abbia la possibilità di assumere alcuni dirigenti chiave, e quanto meno motivare la scelta di mantenere quelli precedenti. Il tema delle risorse umane, prima ancora di quelle finanziarie, è imprescindibile.

Altra questione da affrontare è l'esistenza di una vera spending review. Serve un’analisi puntuale e non una generica riduzione in percentuale delle voci di spesa. Chiunque abbia visto i conti di un Comune in disequilibrio si è reso conto degli ampi (ma eterogenei) margini di miglioramento che si riscontrano nelle tante voci di spesa, anche quelle più banali, quali le spese postali e telefoniche. Su questo serve un lavoro serio e misurabile.

Infine, non viene realisticamente affrontato il problema principale, la capacità di riscossione. In molti dei piani presentati si immaginano moltitudini di cittadini, che non hanno mai versato un euro per la bolletta dell'acqua, la Tari, le sanzioni amministrative o altro, diventare di colpo puntualissimi nei pagamenti di tributi aumentati in modo consistente, trasformando ogni Comune in crisi in una sorta di enclave svizzera. E tutto ciò, senza fare cenno a una minima modifica nell’organizzazione della riscossione, semplicemente imponendo delle formule di incremento delle entrate sul foglio Excel di cui sopra.

Se nel Comune ci sono 99 addetti alla spesa e uno alla riscossione, e resta tale la distribuzione del personale o non si decide di affidare il servizio all’esterno, è difficile immaginare che cambi qualcosa. È quello che, purtroppo, dimostrano i risultati.