Fisco e contabilità

Il «semplificazioni» salva De Magistris: no di Corte conti

La norma, intitolata «stabilità finanziaria degli enti locali», ha l'obiettivo ufficiale di prorogare alcune scadenze per i Comuni in crisi

di Gianni Trovati

Il decreto Semplificazioni semplifica la vita del Comune di Napoli. Che trova l’ennesimo salvagente per evitare il dissesto. E, come in tutte le puntate precedenti di una vicenda che ha ormai assunto dimensioni seriali, la Corte dei conti protesta: da noi «nessuna deroga alla linea di tutela della legalità e della corretta gestione delle risorse pubbliche», fa sapere l’associazione nazionale dei magistrati contabili respingendo qualche ricostruzione che vorrebbe la Corte impegnata in negoziati sottobanco per non far piombare Napoli in un default inevitabile per il linguaggio secco dei numeri, ma procrastinabile in quello più flessibile delle leggi.

Inutile, prima ancora che impossibile, ricostruire in poche righe il groviglio normativo che si è intrecciato negli anni sulla disciplina dei Comuni in crisi per l’esigenza di salvare di volta in volta questa o quella città: un patchwork legislativo in cui Napoli gioca il ruolo di protagonista dal 2013. Più facile però andare alla sostanza: per evitare il default i Comuni con i conti che traballano devono presentare un piano di rientro, fatto di spending review e aumento delle aliquote dei tributi e cadenzato da obiettivi annuali. Quando la Corte dei conti certifica che gli obiettivi intermedi vengono ripetutamente mancati, bisogna alzare bandiera bianca. Come accaduto a Napoli. A meno che intervenga una leggina per evitare il dissesto. Come accade a Napoli.

L’ultima è quella inserita appunto nelle bozze del decreto Semplificazioni. Non si tratta di una delle tante aggiunte in corso d’opera dopo il «salvo intese» del consiglio dei ministri notturno fra fra lunedì e martedì della scorsa settimana, che in otto giorni non ha ancora prodotto un testo definitivo per la Gazzetta Ufficiale nonostante le rassicurazioni governative sui pochi «dettagli tecnici» da limare.

La norma, intitolata genericamente alla «stabilità finanziaria degli enti locali», ha un obiettivo ufficiale anodino, di prorogare alcune scadenze per i Comuni in crisi «in considerazione della situazione straordinaria di emergenza sanitaria». Ma al secondo comma si preoccupa di sospendere fino al 30 giugno 2021 la possibilità per la Corte dei conti di imporre il dissesto ai Comuni che hanno riformulato il piano di riequilibrio fra il 31 dicembre 2017 e il 31 gennaio 2020. La relazione fra queste due date e l’emergenza sanitaria non è chiarissima. Ma è evidente l’effetto sul Comune di Napoli, che rientra in pieno nel periodo interessato dalla sospensione: sospensione che può traghettare al sicuro il sindaco Luigi De Magistris fino al termine del suo secondo mandato alla guida della città.

Tanta tranquillità non potrebbe essere certo assicurata dai conti, schiacciati da una storia infinita di debiti (anche ereditati dallo Stato come quelli dei consorzi di ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia) e da una macchina della riscossione strutturalmente incapace di garantire un livello minimo di entrate. I buchi degli incassi allungano i tempi di pagamento. E allargano la montagna del debito. Al punto che Palazzo San Giacomo è stato uno dei pochi enti a salire sul treno dello sblocca-debiti avviato dal governo con il decretone anticrisi e ha chiesto a Cdp un’anticipazione da 500 milioni di euro: quasi la metà della cifra richiesta nel complesso da Regioni, Asl e Comuni italiani.

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