Appalti

Lavori pubblici/2. Promotore e project financing: cinque pesanti ostacoli da rimuovere subito

di Massimo Ricchi (*)

(*) Formatore e consulente di Pa e Imprese per la finanza di progetto e il partenariato pubblico privato, già componente giuridico dell'Unità tecnica finanza di progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e poi del Ministero delle Infrastrutture (Stm).

LE PROPOSTE «FUORI PROGRAMMAZIONE» NEL VECCHIO CODICE
I procedimenti, sotto il previgente Codice, che hanno consentito ai privati di presentare delle proposte non presenti nella programmazione delle amministrazioni pubbliche sono, per le concessioni di lavori – sia calde che fredde, rispettivamente con rischio domanda (art. 143) e rischio di disponibilità a carico del privato (143, comma 9) – l'art. 153, comma 19 del Codice, e, per le concessioni di servizi, l'art. 278 del DPR 207/2010 (Regolamento).
Questi procedimenti competitivi, che sfociano in una gara, hanno a suo tempo superato le censure di anticoncorrenzialità della Commissione mediante una loro riformulazione e sono studiati e indicati dalla World Bank (vedi il recente Unsolicited Proposal – An exception to Public initiation of infrastructure PPPs 2015) come "unsolicited proposal" (UP). Le UP sono, infatti, utilizzate in molti Stati del mondo (anche in UK con formule attenuate ma sostanzialmente identiche), e ritenute una forma intelligente di incentivazione dei privati ad investire in innovazione progettuale, finanziaria e contrattuale da mettere a disposizione della PA.

Se non fossero proposte dotate di una forte componente di innovazione e complessità non sarebbe certamente utile per la PA ricorrere ad un suggerimento così "esterno" e con fini sottostanti diversi da quelli strettamente pubblici; a questo riguardo la forma di cautela che deve sempre ricorrere in questi procedimenti per evitare operazioni non gradite alla PA, è semplicemente di dotarla del potente strumento di decidere di non accoglierle nella propria programmazione, negando la dichiarazione di pubblico interesse o la fattibilità.

Perché il meccanismo di integrazione programmatoria funzioni è necessario che: a) i privati presentino delle proposte "fatte bene" (come se fossero operazioni predisposte dalla stessa PA); b) che la PA abbia la capacità/competenza per valutarle come "fatte bene".

A fronte della forte propensione del privato ad investire in tale innovazione (ricordiamo che le proposte "fatte bene" sono costose) e ad accettare il rischio di rifiuto da parte della PA, il privato è premiato con il cd. diritto di prelazione, ovverosia con la possibilità, nota a tutti i potenziali concorrenti, di assicurarsi il contratto messo in gara nel bando europeo, ancorché non vincitore, dichiarando di realizzarlo alle stesse condizioni dell'aggiudicatario.

Una raccomandazione fondamentale nell'uso delle UP è quella di mantenere la tensione contrattuale nella fase competitiva; deve essere offerta ai concorrenti una forma di compensazione particolarmente remunerativa rispetto allo sforzo che devono fare per partecipare alla gara in presenza del diritto di prelazione assegnato al promotore, che ha presentato la proposta posta a base di gara.
Non ci sono altre considerazioni che dovrebbero presidiare l'ammissibilità della dichiarazione di pubblico interesse, non la tipologia dei rischi trattenuti dal privato (domanda o di disponibilità) non il nomen del contratto (concessioni di lavori o di servizi) non limitazioni sproporzionate per impedirne o scoraggiarne l'uso.

IL PROMOTORE «FUORI PROGRAMMA» NEL NUOVO CODICE
La domanda che deve essere posta è se il D.Lgs. 50/2016 (Nuovo Codice) rispetti queste condizioni: in particolare la verifica deve essere fatta con il comma 15 dell'art. 183 Nuovo Codice che prevede la c.d. Finanza di progetto strettamente privata o aprogrammatica utilizzabile, per il disposto dell'art. 179, comma 3, anche per i servizi.

Purtroppo balzano agli occhi due evidenti ed inspiegabili barriere all'utilizzo dell'UP:

1) la prescrizione che assieme ai documenti della proposta il proponente deve presentare la cauzione definitiva ai sensi dell'art. 103;

2) l'amministrazione aggiudicatrice deve valutare, entro il termine perentorio di tre mesi, la fattibilità della proposta.

Sembra che tali "impedimenti" siano attribuibili nel primo caso ad un classico lapsus calami, mentre nel secondo caso a un eccesso di garanzia a favore dello stesso privato a ricevere una risposta in tempi brevi dalla PA sulla fattibilità della proposta presentata.

La necessità di una cauzione definitiva è una richiesta sproporzionata rispetto al rischio del privato di sottrarsi senza giustificato motivo alla prosecuzione del procedimento sino all'indizione della gara con la pubblicazione del bando. Inoltre tale onere (soprattutto economico) non ha nessun precedente nel Nuovo come nel previgente Codice ne tantomeno riferimenti ad altri procedimenti concorsuali. Come abbiamo visto il privato al momento della presentazione della proposta ha sostenuto (e perciò rischia) i costi di predisposizione della proposta, che è tenuto ad esplicitare nei documenti da presentare, e il costo dell'asseverazione.
E' comprensibile come la richiesta di una cauzione definitiva pari al 10 % del valore dell'investimento in lavori sia illegittima in una fase caratterizzata dall'incertezza della decisione della PA di dichiarare fattibile la proposta e svincolabile solo ad esecuzione dei lavori. Pertanto, si ritiene che il legislatore abbia voluto indicare l'art. 93, la garanzia provvisoria, e non l'art. 103, la garanzia definitiva, per cui provveda con urgenza ad emendare la norma e a darne, provvisoriamente, l'interpretazione corretta.

Allo stesso modo si ritiene che sia del tutto ingiustificato il termine perentorio di tre mesi, riconosciuto alla PA per valutare la fattibilità della proposta. Sembra questa volta che il legislatore sia stato "intrappolato" dalla volontà di tutelare i privati ad ottenere delle risposte sollecite dalla PA e non si sia curato dei tempi tecnici minimi in cui una amministrazione incorre per valutare la fattibilità della proposta. Infatti, la valutazione di una proposta implica competenze tecniche pari a quelle necessarie per la redazione del cd. progetto di fattibilità da parte della stessa PA.
A questo riguardo la PA si deve, solitamente, dotare di professionisti competenti in materie giuridico amministrative, economico finanziarie e tecniche per lo specifico settore interessato dalla concessione; per essi, salvo che l'importo consenta un affidamento diretto, è necessaria una selezione competitiva che "consuma" tempo prezioso. Inoltre, la fattibilità della proposta deve passare per la cautela istruttoria giustamente imposta dall'art. 181, comma 3 "La scelta è preceduta da adeguata istruttoria con riferimento all'analisi della domanda e dell'offerta, della sostenibilità economico-finanziaria e economico- sociale dell'operazione, alla natura e alla intensità dei diversi rischi presenti nell'operazione di partenariato, anche utilizzando tecniche di valutazione mediante strumenti di comparazione per verificare la convenienza del ricorso a forme di partenariato pubblico privato in alternativa alla realizzazione diretta tramite normali procedure di appalto".

In altre parole anche la valutazione di fattibilità implica un passaggio istruttorio complesso ed iterativo. L'effetto causato dalla norma è l'opposto, infatti tre mesi possono condizionare la PA a dare l'approvazione frettolosa salvo poi trovarsi in serie difficoltà e con ben altre responsabilità in fase attuativa. In considerazione del fatto che la perentorietà del termine è stata pensata per garantire i privati dalle lentezze della PA e in attesa di correttivi o ulteriori interpretazione, pare convincente ammettere che la PA nei tre mesi possa dichiarare ai privati di avere aperto il procedimento di valutazione della proposta e che una volta esaurito il termine non sia consentita la presentazione di altre proposte aventi il medesimo oggetto. In questo modo la PA può interrompere l'effetto tagliola della prescrizione che opererà invece in mancanza di qualsiasi sua azione.

3) Nel procedimento di valutazione della fattibilità si dovrebbe aggiungere anche la valutazione del pubblico interesse (PI), che ha presupposti diversi, e che sembra si sia stata elisa nel testo di questo Nuovo Codice. Una soluzione pratica e aderente al testo normativo vigente consente da parte della PA di dare o negare la dichiarazione di pubblico interesse implicitamente, ovverosia qualora sia fatto decorrere il termine dei tre mesi senza alcuna azione da parte della PA allora la dichiarazione di PI è negata implicitamente. Invece nel caso in cui nei tre mesi venga esplicitata dalla PA l'intenzione di attivare il procedimento volto a verificarne la fattibilità allora il PI è implicito, ma la realizzabilità dell'operazione è condizionata alla verifica della sua fattibilità. Il sistema ha il pregio di esplicitare o meno entro i tre mesi l'esistenza dell'interesse "politico" al progetto e in caso di scadenza del termine il privato ha la certezza che non c'è PI.

Ci sono altri due correzioni che da apportare quanto prima al Nuovo Codice, la prima è di natura formale, ma purtroppo da contezza della confusione concettuale probabilmente imputabile alla fretta e alla presenza di più "mani" non coordinate che si sono succedute a modificare alcuni dettagli.

4) L'art. 180 (Partenariato pubblico privato) statuisce al comma 8: «Nella tipologia dei contratti di cui al comma 1 rientrano la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti». Come è già stato fatto notare nel primo importante approfondimento di analisi della Direttiva concessioni in rapporto al Codice, liberamente scaricabile, "Documento di analisi della direttiva 2014/23/UE in materia di contratti di concessione – 24 settembre 2015", della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome e di ITACA (Istituto per l'innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale), c'è una evidente confusione terminologica tra contratti e procedimenti per l'individuazione del contraente ereditata dal Codice previgente.
La Finanza di progetto, disciplinata al successivo art. 183 è un procedimento di individuazione del contraente, così come lo sono le procedure di realizzazione in partenariato … citate dalla stessa norma e per tale motivo non possono essere considerate dei contratti. L'articolo va corretto.

5) L'altra richiesta di modifica, questa volta di natura sostanziale, riguarda il limite che è stato imposto al prezzo o contributo pubblico che la PA può versare a SAL che «non può essere superiore al trenta per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari», tale dicitura è stata prevista sia per le concessioni calde a rischio domanda nell'art. 165,comma 2 e nell'art. 180, comma 6 che disciplina i contratti di partenariato a rischio di disponibilità con pagamento diretto della PA.
Questa limitazione al contributo pubblico è palesemente depressiva del mercato del PPP, contraddittoria con la prescrizione superiore contenuta nell'art. 21, comma 4 (Programma delle acquisizioni delle stazioni appaltanti) «Nell'ambito del programma di cui al comma 3, le amministrazioni aggiudicatrici individuano anche i lavori complessi e gli interventi suscettibili di essere realizzati attraverso contratti di concessione o di partenariato pubblico privato», ricordando che nel previgente Codice le operazioni con il coinvolgimento dei capitali privati costituisce criterio prioritario all'investimento alla pari con le opere incompiute, i lavori di manutenzione e la presenza di progetti esecutivi.
Non si capisce perché non sia stato mantenuto il limite del 50 % del valore dell'investimento, presente nelle versioni precedenti, che costituisce un principio comunitario per il trasferimento del rischio operativo secondo la disciplina Eurostat SEC 95 e successivi aggiornamenti; qui potrebbe venire in aiuto il divieto di gold plating rispetto alle norme e i principi comunitari.

C'è da aggiungere, nell'auspicare un ravvedimento veloce del legislatore, che l'amministrazione che abbia una somma disponibile o un cespite da dare in permuta, il cui valore si avvicina al 50 %, gli consente di abbattere il costo del canone, limitando l'ingessatura del bilancio della partita corrente negli anni successivi sino al termine del contratto. Per non parlare del soddisfacimento per la PA del dovere di bancabilità imposto dall'art. 165, comma 3 "Al fine di agevolare l'ottenimento del finanziamento dell'opera, i bandi e i relativi allegati, ivi compresi, a seconda dei casi, lo schema di contratto e il piano economico finanziario sono definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità"; è chiaro (ma in soldoni) che maggiore è il contributo pubblico e maggiore è la bancabilità.

Un ultima notazione riguardo l'illogicità del limite del 30% al contributo pubblico, che sembra essere dettato dalla miope intenzione di preservare/limitare la spesa pubblica in conto investimenti piuttosto che puntare sul metodo del value for money, ovverosia sulla qualità degli investimenti che può essere garantita dalle operazioni di Partenariato Pubblico-Privato e in Finanza di Progetto; infatti l'art. 188 del Nuovo Codice che disciplina il Contratto di disponibilità, appartenente alla famiglia dei contratti di PPP, al comma 1, lett. b), consente "l'eventuale riconoscimento di un contributo in corso d'opera, comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione dell'opera, in caso di trasferimento della proprietà dell'opera all'amministrazione aggiudicatrice". Ci sia augura che la previsioni del limite al 30% al contributo pubblico degli art. 165 e 180 siano anch'esse un lapsus calami del legislatore rispetto alla correttezza del 50% dell'art. 188 e non il contrario.

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