Urbanistica

Ponte della Scafa a Roma: in 20 anni solo pareri, progetti, contenziosi e costi

L'Anac striglia l'amministrazione capitolina per l'opera fantasma: cinque sindaci e mai aperto il cantiere

di Massimo Frontera

Vent'anni di carte, pareri, contenziosi, progetti e preventivi spese sempre al rialzo. In 20 anni il nuovo Ponte della Scafa, che dovrebbe sorgere a poca distanza dall'ultimo ponte sul Tevere prima del suo sbocco al mare, non è neanche riuscito ad acquisire lo status di opera incompiuta perché non è neanche mai iniziata. Vent'anni separano il primo accordo di programma tra comune di Roma e Regione Lazio (2002) e la pubblicazione della delibera dell'Anac (2022) che - su segnalazione di LaBur-Laboratorio di Urbanistica - approfondisce la disgraziata storia di questa opera pubblica mai nata, additandola infine come esempio di pessima amministrazione. L'amministrazione in questione è quella di Roma Capitale, promotrice del progetto e del bando di gara, aggiudicato e contrattualizzato. Manco a farlo apposta, la delibera dell'Anticorruzione è stata pubblicata nel sito il 21 febbraio, cioè lo stesso giorno in cui il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri presentavano ufficialmente il faraonico programma di opere pubbliche finanziato dal Pnrr, che riverserà sulla Capitale 7,6 miliardi da spendere in opere per mobilità, risorse idriche, casa e rigenerazione urbana. Ovviamente, da spendere entro il 2026.

Nessun dubbio che saranno centrati gli obiettivi. Però fa un certo effetto vedere da una parte la promessa di realizzare un numero elevato di opere finanziate con risorse mai viste e, dall'altra parte, toccare con mano come sia possibile che la decisione di finanziare un'opera pubblica da 39 milioni - realizzabile, in teoria, in 500 giorni - possa attraversare cinque sindaci e due commissari straordinari (da Veltroni a Gualtieri, passando per Alemanno, Marino e Raggi, Morcone e Tronca) senza mai approdare al cantiere: venti anni e il nuovo ponte della Scafa non è mai uscito dal mondo delle idee, conservando invece la stessa intangibilità e imperturbabilità del neutrino che attraversa le galassie senza modificare di un pelo la sua rotta. Intanto, nel mondo reale il povero ponte esistente, rileva l'Anac, «versa in condizioni precarie e ha bisogno di continui interventi di manutenzione per la cui esecuzione è frequentemente necessario provvedere al restringimento della sezione con circolazione a senso unico alternato con gli immaginabili disagi per gli utenti».

È utile allora ripercorrere brevemente la storia del ponte della Scafa, leggendola come un agile manualetto sugli errori da evitare in vista degli appalti finanziati dal recovery plan, in cui il fattore tempo è così importante da aver imposto non poche accelerazioni e "semplificazioni" rispetto alle procedure ordinarie. Il primo protocollo d'intesa sull'opera - perché ce ne sarà un secondo - è stato sottoscritto tra il comune di Roma e la Regione Lazio il 14 dicembre 2002, "regnante" Walter Veltroni. In realtà ancora non si può parlare di un nuovo ponte ma solo dell'ammodernamento di quello esistente, per adeguarlo a un maggiore flusso di traffico. Nel 2004 viene avviata la progettazione preliminare del raddoppio della carreggiata. La soluzione progettuale di un nuovo ponte nasce solo nel 2005, da realizzare alla distanza necessaria per evitare l'impatto sugli scavi archeologici di Ostia e sul territorio a rischio idraulico che l'adeguamento del vecchio ponte avrebbe comportato. La soluzione viene discussa in conferenza di servizi a ottobre 2005 ma riceve il parere negativo della Soprintendenza. Nell'agosto 2006 il governo affida al sindaco Veltroni poteri commissariali dopo la dichiarazione dello stato di emergenza contro il traffico. Nell'aprile 2006, a quattro anni di distanza dal primo, si sottoscrive un secondo accordo di programma e si assegnano gli incarichi di redazione del progetto stradale e del progetto strutturale. Nel novembre 2007 la conferenza di servizi approva il progetto definitivo del nuovo ponte ad arco, archiviando il precedente progetto di un ponte strallato.

Intanto Roma vive una parentesi di gestione commissariale, dopo le dimissioni del sindaco Veltroni, e in attesa del nuovo sindaco Gianni Alemanno, che si insedia a febbraio 2008. A novembre dello stesso anno partono gli espropri e nell'aprile 2009 il progetto definitivo viene validato. Nel maggio successivo arriva il primo punto fermo: il 28 maggio 2009 viene dichiarata chiusa la conferenza di servizi e si definisce un costo di 39 milioni di euro per l'opera. Nel 2009 c'è una nuova approvazione del progetto definitivo, che include anche la viabilità connessa, e un adeguamento del progetto alle nuove norme tecniche nel frattempo entrate in vigore. A marzo 2010 viene pubblicato il bando di gara con appalto integrato sul definitivo, con base d'asta di 32,6 milioni di lavori e circa 290mila euro di progettazione esecutiva. L'aggiudicazione - all'Ati Consorzio stabile Sinercos, consorzio stabile Coires e Iab con quasi il 19% di ribasso sulla base d'asta - arriverà solo a marzo del 2013, quando ormai il sindaco Alemanno sta per lasciare al posto al nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, che si insedia a giugno 2013.

Ma neanche il sindaco Marino riesce a mettere a segno un passaggio concreto sull'opera. L'aggiudicazione viene infatti impugnata da un concorrente (Ics Grandi Lavori-Ircop) e i due gradi di contenzioso si chiudono a settembre 2013, confermando l'aggiudicazione iniziale. Altro tempo passa per le fasi degli espropri e della campagna di scavi archeologici che vedono un «iter lungo e sofferto», dice l'Anac, e si concludono solo tra 2016 e il 2017, cioè quando Roma archivia l'altra parentesi commissariale, gestita da Tronca, e in campidoglio c'è ormai la giunta guidata da Virginia Raggi, sindaca da giugno 2016.

Il contratto con l'impresa aggiudicataria viene sottoscritto solo nel febbraio 2018, per un importo di quasi 27 milioni di euro con previsione di completare l'opera in 500 giorni (inclusa progettazione esecutiva). Nel novembre del 2018, il progetto viene adeguato ad alcune norme di carattere tecnico e ambientale e il corrispettivo per l'opera sale a 27,66 milioni circa. L'area di cantiere viene consegnata a fine maggio 2019. Ma il progetto resta sulla carta perché nuove indagini geognostiche rivelano un terreno che richiede modifiche progettuali. Modifiche al progetto arrivano anche dalla giunta Raggi, che chiede l'inserimento di una pista ciclabile. A giugno 2020 l'appaltatore presenta il conto delle modifiche: il 40% in più sull'importo contrattuale. Ma non è finita. Anche la Regione, che finanzia l'opera, entra nella partita, chiedendo di formulare «eventuali possibili alternative progettuali nonché una maggior chiarezza sui costi aggiuntivi». L'impresa risponde a novembre 2020 prospettando due diverse soluzioni strutturali del viadotto («rispettivamente con schema iperstatico cerniera-cerniera e schema isostatico carrello-cerniera»).

Dalla ricostruzione operata dall'Anac, pare di individuare in quest'ultimo passaggio quello che, di fatto, fa scattare la sindrome del gioco dell'oca, cioè condanna di fatto il progetto a ricominciare da capo. Infatti, secondo il ministero dei Beni culturali - che si pronuncia nel febbraio 2021 - le modifiche rendono inefficaci i pareri precedenti e impongono nuove valutazioni e una nuova conferenza di servizi che viene indetta a giugno 2021. A 16 anni di distanza ci si trova di nuovo attorno a un tavolo: ministero della Cultura, Soprintendenza speciale archeologica, ministero dell'Ambiente, Regione Lazio, Riserva del litorale romano, Comune di Roma, comune di Fiumicino, Ardis, Mite, Autorità di bacino, città metropolitana di Roma Capitale e consorzio di bonifica litorale nord. La prima riunione si è tenuta il 29 luglio 2021. A scoperchiare

Dopo aver indicato le cause di questa indegna e assurda perdita di tempo (con relativi incrementi progressivi di costi di progetto) l'Anac rileva che «Ad oggi non è stato ancora dato ordinativo all'appaltatore di iniziare l'attività di progettazione esecutiva in attesa dell'esito positivo della Conferenza di Servizi in corso». Più in generale, «il Ponte della Scafa di Roma è «un esempio macroscopico di inefficienza e di spreco», e la gestione del Comune di Roma «ben lontana dai principi di efficienza e di efficacia, tempestività, trasparenza e correttezza». Tanto più «se si considera che l'opera era stata ritenuta necessaria ed urgente per risolvere una situazione di pesante congestionamento del traffico locale».

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