Pnrr, necessario rimediare allo scollamento tra Stato e Regioni
Dal Milleproroghe domestico a quello unionale. Il Pnrr è in panne, ma lo si sapeva benissimo che sarebbe finita così.
La causa è il solito errore del fare, più di casa in Italia che altrove. Si guadagnano a Bruxelles i quattrini europei poi non si sanno programmare e soprattutto spendere. É quanto succede da anni con i fondi europei per la politica di coesione settennali.
Questo il dramma vero e attuale, che trova nel Mezzogiorno la peggiore performance. Il tema è quello di avere le risorse finanziarie ma non quelle umane cui affidarle: ai decisori politici quanto a programmazione e alla dirigenza relativamente alla gestione e rendicontazione.
Dunque, si temono bruschi dietrofront delle disponibilità concesse che sottraggono occasioni di spesa strutturale che potrebbero essere utilizzate per trasformare il Paese e offrire occasioni di sviluppo occupazionale alla Nazione.
La colpa? È tutta della intellighenzia politica che esercita il governo del Paese, in senso generale. Che poi non si è comportata mai come tale in ogni sessione di decisione pubblica cui si è avvicendata. Ciò è avvenuto progressivamente, con appesantimento negli ultimi trenta anni, sia nel compito di governare il Paese che le Regioni.
Nessuna programmazione seria fondata, come era ovvio che fosse, del relativo fabbisogno di personale in linea con le esigenze naturali di un sistema pubblico che cambiava, in senso sempre più europeo. Concorsi farsa, con la scusa del Covid divenuti strumento di selezione all'ingrosso, facendo passare per tecnici ed esperti chi tali non erano e non saranno mai. Lo scorrimento pluriennale delle graduatorie ha fatto il resto, mettendo in prima linea istituzionale quelli che a stento sarebbero stati ritenuti idonei persino da una commissione a composizione parentale.
Per non parlare della formazione lasciata per lo più in mano a Formez PA, altro carrozzone, che avrebbe bisogno assoluto di formare i suoi formatori, erogatori responsabili di una assistenza tecnica fornita alle Regioni con modalità e qualità tanto precarie da ridurle nella condizione di inefficienza vissuta oggi.
Cosa fare? É doveroso sfoderare un Milleproroghe plurilingue europee da far digerire alla commissione Ue. Lavorare alle dodici riforme prescritte per il godimento delle risorse Pnrr, oltre quella della giustizia da riparare. Riprogrammare tantissime opere pubbliche, così come era logico che avvenisse allorquando si riproposero per lo più i progetti del 1992, risalenti alla delibera Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001, con Giulio Tremonti al Mef (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 4 ottobre 2022). Riconfezionare i piani economici dei progetti divenuti poveri di risorse a causa degli incrementi dei prezzi oggi ingovernabili a causa della guerra Russia-Ucraina e della crisi in atto.
Su tutto, si dovrà rimediare allo scollamento tra Stato e Regioni nonché con gli enti locali, lasciati da soli ad affrontare il Pnrr con il "vigile urbano" alle soglie della pensione. Nulla di più.
Ad aggravare la situazione è il Codice dei contratti pronto a svoltare pagina. Scritto bene dal Consiglio di Stato ma forse con maglie troppo larghe, tanto da favorire il passaggio della rete pubblica agli "squali terrestri". Al riguardo, le diatribe determinatesi per diversi motivi tra associazioni categoriali e del sistema autonomistico, Anac e il ministro competente sono i sintomi utili a un maggiore impegno propedeutico a generare miglioramenti e certezze.
Dunque, tecnici doc da rintracciare ovunque, ma quelli veri non già quelli che ci diventano con i curricula webdiretti. Formazione seria e non già quella solita che ha arricchito i formatori senza produrre formati. Accelerazione della partnership pubblico-privata, ricodificata nel Codice degli appalti come operazione economica da incentivare e regolare con contratti pensati bene e scritti meglio.
Ciò nella considerazione che il Pnrr sarebbe dovuto essere il più importante strumento per esercitare la perequazione infrastrutturale per mettere alla pari le Regioni e gli enti locali. Con questo, facilitare l'individuazione dei Lep sostenibili per materie, soprattutto concorrenti, e spianare la strada alla copertura degli stessi con i costi e i fabbisogni standard.
Risolta una siffatta questione, sarebbe stato più facile affrontare il tema dell'autonomia legislativa differenziata.
Così non è stato. Così potrebbe ancora essere sempre che l'Unione Europea conceda la moratoria e quindi la possibilità di poter riprogrammare bene. Questo è la mission più importante del Governo, coerentemente con quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2023 (commi 791-802), relativamente ai Lep e ai costi/fabbisogni standard, e quanto sottoposto al Parlamento in tema di regionalismo asimmetrico, arricchito ovviamente di una esaustiva perequazione ordinaria.
Quanto alla formazione, è tutta da ripensare ma attivare subito, con il contributo del sistema universitario nazionale e non solo e il ricorso alla intellighenzia che potrebbe rendere disponibili la partnership pubblico-privata, da incentivare con i dovuti controlli.