Fisco e contabilità

Il decreto Aiuti libera 3,6 miliardi in 5.800 Comuni (il 64% a Nord)

Contro gli effetti di pandemia e crisi Ucraina il governo permette di utilizzare subito gli avanzi dell’anno scorso - Il 50% delle risorse nei piccoli enti, a Milano 145 milioni, zero a Roma e Napoli

di Gianni Trovati

Dietro l’etichetta tecnica dello «sblocco degli avanzi» concesso ai sindaci dalla bozza di decreto Aiuti si nasconde una mossa che muove circa 3,5 miliardi di euro, e che dà una mano decisiva a 5.800 Comuni (l’80% del totale in un calcolo che esclude le Regioni autonome del Nord) per chiudere i bilanci preventivi travolti quest’anno dai colpi dell’inflazione. Senza toccare i saldi di finanza pubblica, perché a essere liberate sono risorse comunali.

I numeri in gioco danno a questa norma il ruolo di protagonista del capitolo dedicato agli enti locali dal nuovo decreto, su cui ancora una volta si è confermata l’intesa che ha caratterizzato il rapporto fra gli amministratori locali e il governo Draghi in tutti i passaggi chiave di questi mesi complicati. «È una misura importante», riconosce il presidente dell'Anci Antonio Decaro che si era fatto portavoce della richiesta partita dal sindaco di Milano Beppe Sala e da molti assessori delle grandi città. Solo a Milano, per dire, lo sblocco libera 145 milioni di euro, che evitano alla giunta la necessità di congelare una serie di fondi su welfare e servizi locali nel tentativo di recuperare le risorse da stanziare per le bollette. Ma la novità è importante anche lontano dalle metropoli: a Modena per esempio sono in gioco 9,2 milioni, a Pistoia 4,3 milioni, e in tanti piccoli centri la questione vale quelle centinaia di migliaia di euro che fanno la differenza fra una chiusura ordinata dei conti e la necessità di bloccare una serie di spese.

Per capire meglio il senso di un dossier che in queste settimane ha agitato parecchio sindaci e assessori bisogna guardare ai meccanismi di fondo di quella bestia strana che è la finanza locale. Il punto è che nella grande maggioranza dei casi i Comuni hanno bilanci solidi, ed ereditano dalla gestione dell’anno prima una serie di “risparmi”. Sono, appunto, gli avanzi. Nei tempi normali, questo cuscinetto va tenuto a disposizione per evitare sorprese quando bisogna verificare la tenuta dei conti in corso d’opera, e se non ci sono problemi, può essere poi utilizzato per finanziare investimenti e solo dopo per coprire spese correnti non ripetitive.

Il problema è che la verifica degli equilibri arriva entro fine luglio. Mentre i preventivi vanno chiusi ora per essere approvati dai consigli comunali entro la fine del mese, dopo due proroghe già intervenute.

Di qui l’intervento del decreto Aiuti, che dopo qualche resistenza tecnica del ministero dell’Economia permette di sbloccare subito questi fondi per far pareggiare il 2022 dei bilanci senza dover mettere mano a misure più dolorose sul piano politico e gestionale. Le spese per l’energia dovrebbero assorbire 6-700 milioni in più, arrivando intorno ai 2,5 miliardi: il resto servirà per equilibri e gestione ordinaria, in uno scenario che cambia da Comune a Comune.

Come spesso capita quando si parla di enti locali, il dibattito si è concentrato sulle grandi città ma gli effetti più diffusi sono nei piccoli centri.

Lo dimostrano i dati elaborati dall’Ifel sulla banca dati delle amministrazioni pubbliche. I numeri più interessanti sono quelli del 2019, perché il quadro 2020 è influenzato dai generosissimi fondi extra per il Covid che hanno finito per gonfiare anche gli avanzi. Nell’ultimo anno ordinario la quota non vincolata di questi risparmi è arrivata a 3,58 miliardi di euro. La metà abbondante, 1,8 miliardi, è nei Comuni fino a 10mila abitanti, e altri 1,1 miliardi si incontrano nella fascia fra 10mila e 60mila abitanti.

L’altra variabile è quella geografica. Perché al Nord chiude con un avanzo libero il 92% dei Comuni, che cumulano il 64% degli avanzi totali; al Centro la quota di enti interessati scende all’81% e al Sud si ferma al 60%. Tanto è vero che la norma, accolta con giubilo a Milano, lascia indifferenti Roma e Napoli dove non libera nemmeno un centesimo. Anche in questo caso pesa la riscossione, perché l’avanzo «libero» è quello che sopravvive agli accantonamenti obbligatori fra cui primeggia il fondo di garanzia per i mancati incassi. Perché le regole contabili negli enti locali sono cervellotiche quanto si vuole, ma la realtà continua a essere semplice: per tenere in piedi servizi e bilanci bisogna riuscire a raccogliere i tributi.

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