Amministratori

Decaro al top, poi Brugnaro - Male i sindaci di grandi città

Bene Gori (Bergamo) e Mastella (Benevento). Sala (Milano) sotto il 50% di consensi Raggi (Roma) e Appendino (Torino) al 94° posto

di Gianni Trovati

Quello del sindaco è il mestiere «più bello» o «più difficile»? Una risposta sola non c’è, perché le due connotazioni convivono in un equilibrio instabile fra l’opportunità di agire in modo diretto per la propria comunità e il rischio di finire schiacciati da un sistema di regole e responsabilità barocco e ingestibile. E, spesso, da problemi di bilancio che trasformano l’attività amministrativa in un’agonia complicata da far digerire ai cittadini.

È l’incrocio di questi ingredienti a disegnare l’Italia spaccata in due che emerge dall’edizione 2021 del Governance Poll. La linea di faglia non corre tutta sul classico confine Nord-Sud. Certo, il frequente disastro dei conti meridionale sprofonda le tre principali metropoli del Mezzogiorno agli ultimi tre posti della classifica, ma lascia spazio a eccezioni importanti.

La più evidente è Bari, dove i cittadini potrano anche quest’anno il sindaco Antonio Decaro, presidente dell’Anci, alla medaglia d’oro del gradimento. Ma meritano una segnalazione anche Crotone, dove il sindaco Vincenzo Voce alla prima prova della rilevazione annuale realizzata da Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore mantiene il favore del 58,5% dei propri concittadini; e Benevento, dove nemmeno il classico logorio amministrativo - che, per esempio, ha colpito in pieno Chiara Appendino a Torino o Federico Pizzarotti a Parma allontanandoli dalle prime posizioni occupate qualche anno fa - intacca il favore di Clemente Mastella che arriva alla fine del primo mandato da sindaco con un solido 59,5%.

Il quintetto oltre quota 60%

A Messina, invece, lo spumeggiante Cateno De Luca perde quasi 11 punti rispetto allo scorso anno, abbandona il podio dove dodici mesi fa era salito anche grazie al protagonismo un po’ sopra le righe con cui si era schierato a difesa della città contro i rischi sanitari e scende al 22° posto.

Lasciando il secondo scalino al veneziano Luigi Brugnaro, che ora prova la sfida nazionale nel magma del centrodestra, seguito da Giorgio Gori: entrambi sono habitué dei piani più alti nella graduatoria del consenso. Quest’anno il sindaco di Bergamo è in coabitazione con Marco Fioravanti, da Ascoli Piceno, che insieme al collega di La Spezia Pierluigi Peracchini completa il quintetto di amministratori che raggiungono almeno il 60% di «sì» da parte dei propri amministrati.

Nelle grandi città i problemi crescono, soprattutto dopo che il Covid ha imposto una riorganizzazione di strategie e servizi su cui i Comuni da soli non hanno gli strumenti per intervenire nonostante le ricche compensazioni garantite dallo Stato per il mancato gettito da pandemia. E le percentuali si sgonfiano. A Firenze e Bologna Dario Nardella (57%) e Virginio Merola (56%) continuano a cavarsela egregiamente, ma Milano Beppe Sala si ferma per la prima volta sotto al 50% occupando un opaco 81° posto e a Roma Virginia Raggi coabita con l’altra sindaca a Cinque Stelle, Chiara Appendino, alla casella numero 94 con il 43% di gradimento.

Sfide aperte

Alla vigilia di un turno di amministrative che in autunno coinvolgerà oltre mille Comuni la tentazione di leggere questi numeri in chiave elettorale è inevitabile quanto fallace, perché un conto è la domanda secca sul sindaco in carica e altra storia è la corsa con gli altri candidati. Ma il risultato piuttosto spento di Sala a Milano e quello più basso, ma meno drammatico che in passato, di Raggi a Roma suggeriscono che le partite clou possono rivelarsi più aperte.

E poi ci sono le metropoli del Sud. Qui i numeri del consenso si fanno drammatici come quelli dei bilanci. A Catania il sindaco Salvo Pogliese non ha creato il dissesto, ma ha dovuto dichiararlo come primo atto significativo della sua amministrazione, e oggi trova solo il 30% dei cittadini che si dicono disposti a votarlo. A Napoli finora il default è stato evitato solo a suon di salvataggi normativi nazionali che non hanno migliorato i bilanci, ma si sono limitati a congelare l’obbligo di alzare bandiera bianca imposto dalla Corte dei conti. La paralisi determinata dalle casse vuote e da una riscossione al lumicino è però evidente agli occhi dei napoletani, che nel 65% dei casi bocciano Luigi De Magistris ora candidato alla presidenza della Regione Calabria. Molto simile nella sostanza è la situazione a Palermo, dove la replica della primavera di trent’anni fa non è riuscita a un Leoluca Orlando alle prese con casse comunali troppo vuote per sostenere qualsiasi sogno di gloria.

Buchi di bilancio e dei consensi

Il rosario del dissenso che si snoda fra Napoli, Catania e Palermo indica in modo evidente che i buchi di bilancio fin qui affannosamente nascosti sotto il tappeto delle regole contabili presentano un conto salato nella vita quotidiana dei cittadini privati dei servizi, sfaldano le basi della democrazia locale e spesso alimentano l’evasione tributaria che peggiora ulteriormente la situazione. Tutti problemi che non si possono risolvere con gli artifici ragionieristici di cui si sta fittamente discutendo in queste settimane intorno al «Salva-bilanci», atteso dagli emendamenti alla Camera al decreto Sostegni-bis per mettere una pezza alla bocciatura costituzionale (sentenza 80/2021 della Consulta) della norma che permetteva di ripianare in 30 anni e non in 3 gli extradeficit generati dalla gestione dei vecchi prestiti statali per pagare le fatture arretrate dei fornitori.

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