Esproprio illegittimo per edilizia pubblica, il proprietario ha diritto alla restituzione del bene
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
Il principio sancito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui il proprietario ha il diritto alla restituzione del bene illegittimamente occupato, opera anche nell'ipotesi di cui all' articolo 3, comma 1, della legge 27 ottobre 1988, n. 458 («Il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene») applicabile ai procedimenti espropriativi anteriori all'entrata in vigore del Testo unico sugli espropri (Dpr 327/2001) .
In altri termini escludere il diritto alla restituzione del fondo abusivamente occupato significherebbe violare l'articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo («Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale») e dall'articolo 42, comma 3, della Costituzione («La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». Lo ha stabilito la Cassazione (ordinanza n. 10017 del 26 maggio 2022) che ha definitivamente espunto dall'ordinamento l'istituto della c.d. espropriazione appropriativa "lasciato in vita" nella fattispecie contemplata dall'articolo 3, comma 1, della legge n. 458/1988.
L'ordinanza della Cassazione
Il Supremo Collegio era stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto contro la sentenza con la quale la Corte d'appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto la domanda di un privato che aveva chiesto la retrocessione di un fondo di sua proprietà, occupato sine titulo dal Comune di Messina per la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare. L'ente locale si era difeso aveva sostenendo che non avrebbe potuto procedere alla retrocessione del fondo perché la procedura espropriativa era stata avviata nel vigore del suindicato articolo 3, comma 1, della legge n. 458/1988 e che gli alloggi erano stati acquisiti al patrimonio comunale. Tesi che non ha colto nel segno. Il Supremo Collegio ha richiamato quanto statuito dalla Corte di Strasburgo («In tutti i casi in cui un terreno è stato oggetto di occupazione senza titolo ed è stato trasformato in mancanza di decreto di espropriazione, la Corte ritiene che lo Stato «dovrebbe eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno che dovrebbe eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno») e dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 735/2015 («la necessità di interpretare il diritto interno in materia di espropriazione per pubblica utilità con il principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo […] comporta che l'illecito spossessamento del privato da parte della Pa e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un 'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente» (in senso conforme, Cassazione: sentenze n.16509/2019 e n. 22929/2017).
Ciò, non mancando di evidenziare l'orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui un' interpretazione «letterale» dell'articolo 3 della legge n. 458/1988 consentirebbe «la reintroduzione di una fattispecie di espropriazione larvata o indiretta, conseguente al mero fatto dell'irreversibile trasformazione dell'area a seguito del compimento dell'opera pubblica, con correlativo acquisto della proprietà del fondo da parte chi ha realizzato le opere» (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 2/2016; in senso conforme, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 460/2019). Da qui il principio di diritto stabilito dell'ordinanza in narrativa: «L'articolo 3 della legge n. 458 del 1988 […], nella parte in cui prevede solo il risarcimento del danno, e non la restituzione del fondo […], deve essere reinterpretato alla luce dei principi enunciati dalla Corte per i dirittti dell'uomo sull'articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione, oltre che dell'articolo 42 della Costituzione, sicché, a fronte della impossibilità di configurare un potere di acquisizione "indiretta", non può ritenersi ancora operante il divieto di restituzione del bene al privato che lo richieda».