Fisco e contabilità

Se salta lo split payment più costi sugli enti locali

La scadenza del 30 giugno solleva incognite anche sugli investimenti Pnrr

di Giuseppe Munafò e Marco Rossi

La scadenza del 30 giugno 2023 prevista al momento per l’applicazione dello split payment per le Pa determina alcune criticità finanziarie legate alle spese di investimento in ambito commerciale, a maggiore ragione significative se si considera l'entità degli interventi legati al Pnrr.

La problematica con cui si dovranno confrontare gli enti se fosse superato il regime dello split payment riguarda l’ambito commerciale. Attualmente, in regime di split payment, l’Iva trattenuta al fornitore al momento del pagamento viene computata nella liquidazione periodica dell’ente ove il debito Iva così sorto in capo all’ente trova la sua compensazione, ai fini del versamento, nell’analoga imposta che risulta detraibile in funzione del regime caratterizzante la tipologia di operazione passiva effettuata.

Da questo sistema consegue un evidente vantaggio per l’ente in presenza di Iva a credito integralmente detraibile che non determina la formazione (per tale operazione) di un debito da versare, il quale - eventualmente - si può generare per l’Iva a credito solo parzialmente detraibile (ad esempio in presenza di pro-rata).

Ritornando al regime naturale di applicazione del tributo, invece, gli enti locali si trovano costretti a sostenere un esborso finanziario corrispondente all’importo della fattura ricevuta dal fornitore: l’Iva a credito così formata sarà poi portata in detrazione in sede di liquidazione periodica, con la seguente formazione di un credito Iva.

In questa dinamica è del tutto evidente che l’ente si trova soggetto a un esborso iniziale più significativo (non dovendo corrispondere soltanto l'imponibile) che determinerà un credito d’imposta recuperabile nel corso del tempo.

Finanziariamente l’ente avrà un impatto negativo sulla gestione di cassa, in funzione del credito che si formerà progressivamente e che emergerà dalle dichiarazioni fiscali di volta in volta presentate, a maggior rilevanza se si tiene conto dell'entità delle risorse del Pnrr che possono determinare la moltiplicazione della sofferenza di cassa.

L'Iva a credito, a sua volta, dovrà essere gestita sulla base delle modalità stabilite dal Principio contabile applicato n. 4/2, secondo il quale «La contabilità finanziaria rileva solo, tra le entrate l'eventuale credito IVA, o l'eventuale debito IVA, tra le spese. Il relativo impegno è imputato nell'esercizio in cui è effettuata la dichiarazione IVA o è contestuale all'eventuale pagamento eseguito nel corso dell'anno di imposta, mentre l'accertamento del credito IVA è registrato imputandolo nell'esercizio in cui l'ente presenta la richiesta di rimborso o effettua la compensazione».

Di conseguenza, si potrà procedere all'accertamento del credito esclusivamente al momento della richiesta di rimborso ovvero al momento dell'effettuazione della compensazione, eventi in corrispondenza dei quali l'ente conseguirà un beneficio finanziario corrispondente, rispettivamente, all'entrata (per il rimborso) ovvero alla minore spesa (per la compensazione).

Nell'intertempo però il credito maturato sarà stato finanziato, generando un impatto negativo sulle risorse dell'ente in funzione dell'entità degli investimenti effettuati in ambito commerciale, che comportano una detraibilità dell'Iva.

Analogo impatto, come detto, si determinerà per gli interventi finanziati dal Pnrr in ambito commerciale posto che – trattandosi di Iva detraibile (totalmente o parzialmente) – non può essere annoverata tra le spese ammissibili rendicontabili a carico del progetto, rimanendo essa stessa una mera componente di credito .

Se si considera, poi, il regime sanzionatorio in caso di ritardo nei pagamenti (tra cui il fondo garanzia debiti commerciali) emerge ulteriormente il particolare quadro critico legato alla modifica del regime di applicazione dell'Iva al prossimo giugno 2023, ovviamente salvo proroghe.

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