Appalti

Dal nuovo codice forte spinta per il salto al digitale: all'Anac il portale unico degli appalti

Comunicazioni solo elettroniche e senza documenti in formato «.pdf». Stop anche ai bandi sui giornali. Ma senza qualificazione delle Pa c'è un nodo fattibilità

di Mauro Salerno

Forte spinta al digitale con il nuovo codice appalti. Il progetto di riforma cui sta lavorando la commissione ad hoc nominata dal Consiglio di Stato punta forte sul salto definitivo verso la gestione dei contratti pubblici attraverso piattaforme telematiche. Ovviamente anche ora la maggior parte delle gare pubbliche viene gestita in forma elettronica, ma la vera novità su cui scommetterà il nuovo codice sarà l'intera gestione digitale degli investimenti in appalti pubblici, con l'estensione del formato digitale a tutto il ciclo di vita del contratto: a partire dalla programmazione, con la richiesta dei codici Cup (codice unico del progetto) e Cig (codice identificativo di gara) fino all'esecuzione e alla conclusione dl contratto. Il tutto - questa sarebbe l'altra novità forte - dicendo addio al formato «.pdf». Dunque senza più prevedere l'inserimento di documenti trasformati in digitale partendo da una base cartacea, ma prevedendo la gestione dell'intera attività in formato digitale, con l'acquisizione diretta dei dati dalle banche dati esistenti (il cosiddetto modello «machine to machine»).

La strategia per garantire questo obiettivo sarebbe quella di far gestire tutte le attività attraverso piattaforme telematiche interoperabili, facendo confluire tutte le informazioni su un portale unico, gestito dall'Autorità Anticorruzione, che diventerebbe così punto di riferimento nazionale per gli appalti.

Inutile sottolineare che il progetto, incluso negli obiettivi della riforma allo studio in questi giorni, è piuttosto ambizioso. Non è la prima volta che si parla di gestione digitale degli appalti. Men che meno di una banca dati unica gestita dall'Anac e "nutrita" di informazioni grazie allo scambio in tempo reale di dati in arrivo da strumenti telematici in uso ad altre amministrazioni. Soprattutto su quest'ultimo aspetto, è facile riportare alla memoria i progetti finiti in un flop o rimasti allo stato di annunci senza seguito.

Questa volta però a dar man forte all'obiettivo c'è qualche puntello in più. Innanzitutto l'inserimento del traguardo degli appalti digitali tra gli obiettivi da raggiungere attraverso il Pnrr. E poi la mannaia delle norme europee che prevedono l'obbligo di veicolare tutte le informazioni relative agli affidamenti attraverso soluzioni digitali a partire dal 25 ottobre 2023.

L'idea alla base del capitolo digitalizzazione all'interno dello schema di riforma del codice appalti è che la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, insieme a una nuova piattaforma nazionale, si trasformino in una sorta di Portale unico degli appalti. Un'idea sposata e promossa più volte dallo stesso presidente dell'Autorità Giuseppe Busia. Il portale dovrà essere messo in grado di dialogare con tutte le piattaforme digitali di e-procurement utilizzate dalle varie stazioni appaltanti per gestire le procedure in formato digitale. Un ruolo centrale verrà assegnato anche al Fascicolo virtuale degli operatori economici in cui saranno concentrati tutti i dati e i requisiti necessari per partecipare alle gare e che dovrebbe diventare una sorta di «Green pass» per le imprese.

La digitalizzazione dei processi comporterà un forte impatto anche per gli impegni di pubblicità e trasparenza. Innanzitutto, l'intenzione che emerge dalle bozze allo studio del Consiglio di Stato, è quella di superare l'obbligo di pubblicazione dei bandi sui giornali. Anche gli obblighi di trasparenza a carico delle Pa sarebbero concentrati in un invio unico dei dati alla Banca dati del'Anac e sempre tramite lo scambio di dati tra piattaforme digitali.

Sullo sfondo restano pesanti come un macigno e impossibiili da eludere le evidenti difficoltà realizzative di un progetto del genere. Anche alla luce delle contestazioni già mosse dai Comuni al progetto di qualificazione delle stazioni appaltanti messo a punto dall'Anac. Come è possibile preparare le Pa italiane che certo al momento non brillano per grado di innovazione a una rivoluzione simile? E ancora con quante stazioni appaltanti dovrebbe essere in grado di "interoperare" la banca dati dell'Autorità laddove anche stavolta naufragasse il tentativo di razionalizzarne il numero? È indubbio che esiste un nodo di fattibilità che anche i tecnici del Consiglio di Stato non si nascondono. A scioglierlo , in un senso o nell'altro, non potrà essere altri che il nuovo governo.

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