Personale

Il danno erariale per violazione dell'obbligo di esclusività non può essere desunto dagli incarichi extra non autorizzati

Deve risultare che l'impiegato non ha regolarmente assolto agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro

di Claudio Carbone

Il pregiudizio erariale per lo svolgimento di attività economiche e/o professionali che risultano incompatibili con l'attività lavorativa di pubblico impiego, ancorché non autorizzate deve essere sempre provato dalla Pa. Con riferimento a tale ipotesi, l'articolo 63 del Dpr 3/57 prevede una previa diffida del datore di lavoro volta a far cessare l'incompatibilità e, solo in caso di inottemperanza alla diffida, la decadenza dell'impiego. Di conseguenza, in tale lasso di tempo, per far valere la responsabilità deve risultare che l'impiegato non ha regolarmente assolto agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro. È quanto deciso dalla Sezione Giurisprudenziale della Campania con la sentenza n. 3/2023 per la citazione in giudizio di un docente per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell'Università, di una somma di denaro in relazione a diversi addebiti.

La contestazione traeva origine dall'attività investigativa denominata "Magistri" svolta della Guardia di Finanza e finalizzata a verificare a campione violazioni dello status giuridico di professori in regime di tempo pieno e di esclusività presso atenei pubblici. Nel corso delle relative indagini, a seguito dei controlli effettuati sui professori titolari di partita Iva e di cariche societarie, la Procura contestava due distinte voci di danno per la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità erariale: il rapporto di servizio, l'antigiuridicità delle condotte attive ed omissive, l'elemento soggettivo doloso con intenzionale occultamento e illecito arricchimento, il danno e il nesso di causalità tra condotta e danno.

Una prima voce di danno principale, pari al totale lordo complessivo dei compensi non riversati, discendente dalla violazione dell'obbligo di riversamento dei compensi ottenuti da attività extra istituzionali non previamente autorizzate, è stata confermata. È risultato che le attività contestate rivestissero il carattere libero-professionale, in ragione della loro remuneratività, continuatività, assiduità e sistematicità. Una seconda voce di danno che riguardava la violazione delle regole sul tempo pieno, data dall'assunzione di carica di co-amministratore e socio paritario nella Srl, in relazione all'effettivo svolgimento di attività incompatibile con il regime di tempo pieno, non è stata confermata in mancanza di prove.

Il Collegio ha ravvisato che la sussistenza di un danno erariale conseguente alla violazione dell'obbligo di esclusività e di fedeltà non possa essere automaticamente desunta in base allo svolgimento di incarichi extra istituzionali non autorizzati o non autorizzabili, ma debba essere oggetto di specifica allegazione di parte attrice. Particolare attenzione, infine, è stata posta all'eccezione di prescrizione avanzata dal ricorrente, disattesa per le seguenti ragioni. L'articolo 1, comma 2, della legge 20/1994, dispone che: «Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta».

Secondo la giurisprudenza contabile, tale doloso occultamento rileva non tanto sotto il profilo soggettivo (in riferimento, cioè, ad una condotta occultatrice del debitore), bensì sotto quello oggettivo (in relazione all'impossibilità dell'Amministrazione di conoscere il danno e, quindi, di azionarlo tempestivamente in giudizio ex articolo 2935 del codice civile). La Corte di legittimità, tuttavia, ha affermato che in presenza di un obbligo giuridico di informare l'ulteriore condotta dolosa del debitore/dipendente pubblico, tesa a occultare il fatto pregiudizievole, possa estrinsecarsi anche in una condotta omissiva, «quando chiaramente riguardi atti dovuti». Sicché «il doloso occultamento è requisito diverso e più grave rispetto alla mera omissione di una informazione, omissione che assume rilievo solo ove sussista un obbligo della parte di informare». Nel caso in esame non è revocabile in dubbio che il convenuto avesse un obbligo specifico, nella fattispecie disatteso, di informare il proprio datore di lavoro degli incarichi ricevuti.

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