Fisco e contabilità

Ridiamo un futuro di fiducia e responsabilità alla dirigenza pubblica

Serve maggiore attenzione a tempo, denaro e capitale umano perché il prodotto è più importante del processo

di Antonio Lampis

Ultimamente si dibatte molto se e quando riusciremo a spendere nei tempi il Pnrr. Sul come spendere si è aperto un acceso confronto tra governo e organi di controllo. La ricorrenza della discussione ricorda ancora una volta la crescente difficoltà con cui le pubbliche amministrazioni riescono a rispondere alle esigenze della società, difficoltà che in Europa sono emerse ancora più prepotentemente per effetto della pandemia e della guerra. Senza spesa tempestiva non c’è ripresa e non c’è sviluppo.

Il Covid, la recente cultura del bonus pubblico per quasi ogni esigenza, l’improvviso svelarsi della debolezza di alcune strutture sanitarie hanno riportato indietro l’orologio della storia e oggi, come nell’Impero Romano o nel Medio Evo, cittadini imprese e autorità locali si trovano di nuovo in fila nei ministeri delle capitali per ottenere un finanziamento. Tutto ciò ha riportato attenzione alle scelte pubbliche e oggi è più che mai necessario segnalare quanto l’efficienza della pubblica amministrazione sia stata a lungo trascurata. Governo dopo governo, abbiamo tutti, silenti, assistito allo stratificarsi di norme, apparati, controlli e procedure quasi sempre non decisivi per gli scopi dichiarati, ma brillantemente capaci di rendere lentissima l’attività dei dirigenti, norme perfette, grazie alla formula “con successivo decreto”, per rendere continua la commistione tra una politica a sempre più breve durata e un’amministrazione a sempre più lunga percorrenza.

Questo giornale, già nel 2014, contava, solo per quell’anno, la compulsiva approvazione di 21 pagine di nuovi provvedimenti normativi al giorno, un complessivo scritto di oltre 14,2 milioni di caratteri battuti su carta, articolati in migliaia di commi e articoli. Mai come negli ultimi vent’anni di norme italiane e Ue si è data ragione al motto usato dal grande giurista Francesco Galgano, secondo il quale il diritto è il rovescio del buon senso.

Da più di 20 anni ogni nuovo governo, ogni nuovo governatore regionale e ogni nuovo sindaco dichiara nei suoi esordi di voler agire per la semplificazione e per la sburocratizzazione, ma nessuno ha avuto il tempo e la determinazione per evitare che le norme di contabilità pubblica, nate nell’emergenza e dalla miseria della Prima guerra mondiale, sopravvivessero quasi immutate e restassero vigenti anche oggi, epoca della totale digitalizzazione dei passaggi di denaro, nella quale basta condividere una password per poter controllare con quattro occhi ogni spesa. Nessuno ha realmente inciso su tale stato di fatto e oggi solo una riforma fortemente radicale potrebbe aiutare. Spesso mi dicono: eh la fai facile. Difatti è quello che servirebbe, farla facile, pur nella consapevolezza che alcune delle norme più infernali ci arrivano da un comune sentire europeo e da dirigenze e magistrature ostili a ogni cambiamento.

Alcuni Paesi nordici già da anni offrono ottimi esempi di amministrazione efficiente e tempestiva, con una digitalizzazione seria, mentre noi siamo in fila negli ambulatori medici per avere una ricetta, a volte ancora di carta, che dura poco perché non si sa gestire digitale, fiducia e privacy contemporaneamente. Per la vicenda del Pnrr e per altre situazioni critiche che investono la presente e futura convivenza, in primis la sanità, l’immigrazione, la transizione energetica, l’istruzione al passo con i cambiamenti sociodemografici, anche in sede europea serviranno presto riforme radicali.

Spendere e agire lentamente significa per un’azienda o una pubblica amministrazione spendere inutilmente ed anche lasciare spazio (e tempo) alla corruzione o comunque a influenze indebite. Un intelligente magistrato, con il quale ho condiviso molte commissioni per assumere funzionari pubblici, chiedeva ai candidati: mi parli poco e male delle quattro fasi della spesa pubblica. La risposta di un candidato altrettanto intelligente fu: «Dovrebbero essere solo due».

Anni di esperienza amministrativa mi hanno persuaso che per uscire dalla paralisi o dall’estrema lentezza che frena benessere individuale ed economia collettiva, serve maggiore attenzione al prodotto e meno al processo e serve attenzione al fattore tempo, che insieme al denaro e alle persone che compongono i vari nuclei di lavoro sono risorse da dover gestire, in futuro, con una flessibilità maggiore. Si è voluta una cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego solo di facciata, ma è ormai tempo di dare a chi decide, ai dirigenti, budget composti non solo di risorse finanziarie, ma ambiti d’azione più completi in maggiore autonomia, pur con ragionevoli tetti di spesa, per risorse umane, logistiche e operative. Sarà quindi indispensabile liberarsi degli eccessi di standardizzazione, rigidità negli organici, norme sulle modalità minuziose della spesa. Vanno superati i sistemi troppo centralizzati di assunzione, fermo restando il vincolo di pubblico concorso, che è pur sempre rispettato anche senza selezioni oceaniche, lente e quasi sempre centralizzate. Serve un sistema di controlli che sia più spesso concomitante e meno spesso giudicante solo a cose fatte, che valorizzi il capitale di conoscenza accumulatosi nei decenni negli organi di controllo per contribuire a prevenire e a risolvere i problemi piuttosto che solo definirli, magari utilizzando la retorica che dovrebbe restare confinata al diritto penale. Nell’attuale dibattito le sanzioni andrebbero rivolte a chi ha complicato i processi decisionali o di spesa e non a chi, con risorse scarse non riesce a portare a termine missioni impossibili. È inoltre necessario programmare l’incertezza, difatti, sembra incredibile, ma molto spesso nelle pubbliche amministrazioni non è dato a sapere in anticipo chi firma quando qualcuno sparisce (per morte, malattia, pensionamento, assenza imprevista etc.) e questa incredibile dimenticanza organizzativa ha già creato grandi problemi durante il Covid. È necessario liberarsi delle troppe Pec, dei troppi software fatti in casa che nessun imprenditore utilizzerebbe nemmeno sotto tortura. È indispensabile, per rispondere alle nuove esigenze sociali, dare attenzione alla macchina pubblica, per renderla degna dell’Italia, guardando alla media Ocse e non rassegnandosi a mantenerla al livello di un Paese in via di sviluppo. In tale prospettiva serve coraggio e fiducia, dare reali responsabilità sui risultati e spazi di manovra, considerando molto meglio il fattore tempo, i rischi, i carichi di lavoro in un’ottica orientata al risultato.

Le riflessioni come questa, in pubblico e su questa autorevole carta rosa, servono da sempre da stimolo. Ovviamente non si riesce qui ad elencare proposte più dettagliate, ma posso segnalare chi da anni lo fa molto bene, come ad esempio il Forum Pa (dove sono state presentate dettagliati rapporti e proposte) e il libro uscito quest’anno, attuale e chiaro, di un maestro come Sabino Cassese, dal titolo Amministrare la nazione.

Per spendere bene e in tempo il Pnrr e ogni altra spesa pubblica è indispensabile tornare a leggere, a studiare, a investire nella formazione della futura classe dirigente, prospettandole un futuro di responsabilizzazione e fiducia, con meno minacce, meno lacci e più attenzioni.

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