Il CommentoAmministratori

Partecipate, sugli ammnistratori una presunzione di responsabilità che pesa

di Ettore Jorio

La regola generale è che gli amministratori, in presenza di comprovate e irrimediabili cause pregiudicative, a essi riconducibili, del patrimonio delle società cui sono preposti, rispondono personalmente dei danni prodotti. Ciò in via ordinaria, secondo l'articolo 2486, allorquando venga accertata la loro responsabilità, diretta e solidale. In tal caso rispondono della differenza in negativo determinata sul patrimonio netto valorizzato alla cessazione della carica rispetto a quello apprezzato al rispettivo esordio dell'incarico (NT+ Enti locali & edilizia del 27 dicembre 2021).

Una presunzione che pesa
A ben vedere, una presunzione di responsabilità importante per l'amministratore in senso stretto - ancorché iuris tantum e, quindi, suscettibile di prova contraria, con l'onere a suo carico di dimostrare una assenza o più modesta entità del pregiudizio oppure una estraneità all'evento ovvero una sua inevitabile determinazione - che dovrebbe, altresì, costituire un buon monito per tutti i chiamati a gestire la res pubblica. Non solo, quelli esercenti questa attività per via diretta bensì anche quelli posti in esercizio per via mediata, ovverosia attraverso società partecipate e organismi pubblici strumentalmente preposti ad hoc nonché enti facenti parte del servizio sanitario nazionale.
Una gestione, questa, esercitata dai pubblici amministratori per interposizione di soggetti manageriali fiduciari, secondo le regole civilistiche e fiscali previste per il regime societario, spesso responsabili di un sensibile appesantimento del bilancio delle istituzioni pubbliche cui fanno di frequente esclusivo riferimento. Tra queste, sono sempre di più le società in house, nonostante i limiti e le condizioni posti dalla consolidata giurisprudenza, formatasi a seguito della "riforma Madia", alla costituzione di nuove ovvero alla trasformazione in tal senso delle preesistenti società miste.

Il conflitto delle esigenze politiche con quelle della buona amministrazione
Tutto questo si registra a causa di una particolare incomprensibile affezione della Pa, soprattutto regionale, frequentemente non avvezza a fare emergere le «marachelle» nascoste (si fa per dire!) da anni nei bilanci delle loro numerose partecipazioni satellitari che risulterebbero negativamente incidenti nei propri bilanci consolidati, con la conseguenza di rendere propria la responsabilità altrui. Concretizzando cosi, a valle del reato tipo del falso in bilancio, anche l'illecito civile di abuso di bilancio finalizzato a guadagnare una credibilità altrimenti difficile se non impossibile da conseguire (NT+ Enti locali & Edilizia 22 dicembre 2021).

Il mancato rispetto delle regole
Al riguardo, sono stati infatti tantissimi - nonostante più formali appelli legislativi all'emersione delle verità, da perseguire attraverso la corretta applicazione dei principi contabili generali e gli invocati accertamenti straordinari dei crediti/debiti allocati negli stati patrimoniali - i soggetti satelliti della Pa territoriale, con personalità giuridica e autonomia proprie, a continuare a violare le regole del regime civilistico e fiscale. E ancora. A non considerare nel dovuto tenuto, ormai da quasi un quinquennio, gli obblighi derivanti dal Dlgs 23 giugno 2011 n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). Quest'ultima attuativa del cd. federalismo fiscale, tenuto ancora inconcepibilmente alla porta quanto alla rinnovata introduzione delle novellate metodologie di finanziamento dei funzioni fondamentali e delle prestazioni essenziali, garantiti dal sistema autonomistico territoriale (Ssn compreso), fondate su costi/fabbisogni standard assistiti dal sistema perequativo, di cui all'articolo 119 della Costituzione. Non solo. A tenere allocati in una assurda progressione di valori plurimilionari, quanto alle aziende della salute, i mega inventari di rimanenze finali di medicinali e presidi sanitari, molti dei quali volatizzati negli anni.
Una brutta abitudine, ereditata da una condizione quasi anarchica dell'esercizio pluriennale della spesa, ha fatto sì che nel sistema delle autonomie locali accadesse di peggio, tant'è che in esso si registra un elevato numero di comuni (ma anche delle inutili province) condannati per decenni ad esercitare le loro funzioni istituzionali nel girone dei dissestati ovvero di quelli sottoposti a procedure pluriennali di riequilibrio (predissesto).

Si spera nei riflettori sopravvenienti
Di tutto questo si sta interessando, unitamente alle corrette attenzioni riservate al tema specifico dal giudice contabile, anche la magistratura ordinaria. Da ultimo, assumendo a prestito quanto deciso nella casistica relativa alle procedure fallimentari, anche in relazione all'obbligo di rideterminazione del pregiudizio patrimoniale prodotto dal management pubblico secondo un metodo estimativo del valore dell'eventuale danno prodotto, diverso a quello civilisticamente neo-codificato (articolo 2486 del codice civile, per l'appunto). Ciò esclusivamente in presenza di scritture contabili inattendibili (e sono diverse da riconoscersi tali nel sistema della Pa territoriale e di quella che si occupa di sanità) perché omissive sul piano delle registrazioni ovvero viziate da profonde irregolarità procedurali e assenze documentali. In tal caso, piuttosto che fare riferimento per la determinazione del danno prodotto dall'amministratore alla differenza tra gli anzidetti netti patrimoniali, verrebbe considerata – in via equitativa - la possibilità di calcolarlo, come base d'estimo del danno prodotto, la mera differenza tra gli attivi e i passivi rendicontabili e mettendo a confronto i saldi iniziali con quelli finali. Quest'ultima da determinare attraverso l'ultimo bilancio riprodotto, anche in assenza di perfezionamento di quelli precedenti, comparato con la ricostruzione di quello riferito all'inizio del mandato esercitato. Una regola/formula sancita, in tema di responsabilità dell'amministratore in materia fallimentare, dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 6 maggio 2015 n. 9100, che ha fatto scuola per la formazione dei dicta successivi, funzionali al calcolo della determinazione dei danni, ove non fosse possibile ricorrere alla regola generale di cui al quarto comma dell'art. 2486 c.c., da considerarsi come generale.
D'altronde, fare altrimenti ovvero di peggio, omettendo ogni dovuto accertamento, ancorché ricostruttivo, prodromico al giudizio di responsabilità degli amministratori lato sensu, si concretizzerebbero due grandi vulnus: quello di materializzare una sorta di arbitrario condono delle irregolarità contabili e gestionali nella conduzione della res pubblica e, di guisa, "perdonare" ogni conseguente responsabilità gestoria, altrove comunque sanzionata; l'altro, di fornire il peggiore esempio sull'applicazione delle regole garanti di una buona amministrazione.