Edilizia privata, Palazzo Spada ribadisce l'esenzione degli oneri concessori sugli agriturismi
Niente contributi se l'opera è connessa all'attività agricola. La Regione disciplina, il Comune controlla
L'esonero dal contributo di costruzione per gli interventi da realizzare nelle zone agricole si applica anche a quelli effettuati in funzione dell'attività agrituristica, purché essa sia connessa alla conduzione del fondo. Il Consiglio di Stato, nella recente pronuncia pubblicata il 13 gennaio (n.235/2022) conferma in pieno l'esenzione degli oneri concessori da parte dei privati che intendono adattare gli immobili rurali sul proprio fondo allo svolgimento di attività agrituristica, dove sia garantita la connessione con l'attività agricola richiesta dalla legge. Un quadro solido, che emerge dal Dpr 380 (art. 17, comma 3, lett. "a"), dalla legge quadro sull'agriturismo del 2006, oltre che dal Dlgs 228/2001).
Un principio cristallino ma che rischia di essere tradito o travisato dalle amministrazioni locali quando temono di vedere questo privilegio (che nella ratio del legislatore mira a difendere le regioni rurali dallo spopolamento, incoraggiare il rinnovamento della classe imprenditoriale agricola e valorizzare il patrimonio culturale ed enogastronomico locale) utilizzato da chi in realtà punta ad esercitare una attività commerciale "sconnessa" dal contesto agricolo da cui nasce. È successo infatti che un comune lombardo abbia negato a un residente la restituzione dei contributi concessori (per circa 8.400 euro più interessi) relativi ai lavori necessari per adattare alcuni edifici all'attività agrituristica (ristorativa). Il ricorso è stato accolto dal Tar e confermato dal Consiglio di Stato che ha respinto l'appello del comune.
Le due pronunce - in particolare la seconda, della Seconda Sezione di Palazzo Spada - oltre a confermare la legittimità di un principio espresso chiaramente dalla legge - offrono un valido orientamento sia alla regioni, competenti nella legislazione in materia di agricoltura e turismo, sia agli enti locali, competenti proquota in materia edilizio-urbanistica. Subito dopo aver affermato il principio della esenzione degli oneri concessori, i giudici della Seconda Sezione del Consiglio di Stato ricordano che esso è legato a due condizioni. La prima è l'esistenza di un rapporto tra l'immobile e la conduzione del fondo - vale a dire la «connessione» all'attività agricola. La seconda condizione sta nella qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale del proprietario promotore dell'intervento edilizio.
In questo quadro, c'è uno spazio di intervento per le Regioni. Per esempio possono individuare gli «interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell'imprenditore agricolo ai fini dell'esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi». «Laddove però - si aggiunge - ciò non sia in concreto avvenuto, ovvero il Comune non ne abbia fatto applicazione, è evidente che la verifica della richiesta connessione non può che venire demandata, al di là delle originarie indicazioni di massima sulla rispondenza dei locali alla finalizzazione perseguita dal richiedente, alla fase dello svolgimento dell'attività».
Un'altra indicazione utile arriva dai giudici relativamente al valore della "capienza" dei locali ai fini della verifica della "connessione" tra l'edificio utilizzato per l'attività agrituristica e la funzione agricola del fondo. Il concetto di capienza - se applicato in modo appropriato al caso specifico - può essere d'aiuto ai fini della sussistenza e verifica della "connessione", sempre che sia «posto come condizione nel titolo legittimante lo svolgimento dell'impresa». Prendendo spunto dal caso specifico oggetto di contenzioso, i giudici precisano che «nessun rilievo in senso ostativo può assumere il contrasto tra la astratta capienza del locale di ristorazione (potenziali 130 posti a sedere) con quella concretamente legittimata dalla Provincia al fine di mantenere la necessaria connessione con l'attività agricola (50 pasti al giorno per 5 giorni alla settimana, su 260 giorni all'anno). Il concetto di "capienza", infatti, intrinseco alla nozione di agibilità dei locali di pubblico spettacolo o trattenimento, ma estraneo a quelli di somministrazione di alimenti e bevande, sottoposti piuttosto a un vaglio qualitativo di rispondenza a requisiti igienico-sanitari e di aerazione, assurge a limite negativo al di sopra del quale, appunto, si spezza il rapporto di connessione nella accezione giuridica richiesta dal legislatore perché l'attività di agriturismo possa essere considerata parte di quella agricola, fruendo anche dei relativi benefici procedimentali. Essa, cioè, finisce per costituire un obiettivo strumento di supporto all'operato dell'organo di controllo, in quanto agevolmente riscontrabile».
Da qui il suggerimento finale alle funzioni degli enti locali pubblici addetti ai controlli: «Le preoccupazioni legalistiche dell'Amministrazione appellante possono trovare agevole conforto programmando una seria attività di vigilanza volta a verificare il mancato sconfinamento della gestione agrituristica proprio in quella ristorazione di tipo stricto sensu commerciale che il Comune avrebbe voluto mantenere in loco, certamente incompatibile con l'attuale destinazione d'uso dell'immobile».