Amministratori

Pa più digitale con cloud e sistemi che si parlano

Con le risorse in arrivo si può recuperare il ritardo che il Paese ha nella Ue

di Antonello Cherchi

Nel Pnrr ci sono 65 miliardi di euro che, a vario titolo, sono destinati a rendere l’Italia più digitale. Di questi, 9, 72 sono riservati all’e-government, a sviluppare le capacità informatiche della pubblica amministrazione. Una dote importante e su cui occorre puntare per permettere al Paese di fare un grande passo in avanti nell’uso delle nuove tecnologie. La prospettiva è di ridurre sensibilmente, se non annullare, il divario tra due Italie: quella del Centro-Nord più “connessa” e quella del Centro-Sud che arranca.

Si va dalla provincia autonoma di Trento - che fa da capofila dei territori virtuosi grazie al più alto tasso di competenze digitali avanzate da parte dei cittadini e al loro uso per colloquiare con la Pa - alla regione Molise, in coda alla “classifica” così come è stata stilata dall’Osservatorio agenda digitale del Politecnico di Milano sulla base di alcuni parametri, dal livello di digitalizzazione dei servizi pubblici alla connettività, dalle competenze all’integrazione delle tecnologie digitali.

Questo squilibrio si proietta anche su un orizzonte più vasto. Secondo gli indici Dmi (Digital maturity indexes) messi a punto dall’Osservatorio, il nostro Paese è 17esimo nella Ue riguardo ai fattori indispensabili per la digitalizzazione (per esempio, la copertura di banda larga) e al 23esimo per i risultati ottenuti (per esempio, l’utilizzo di banda larga da parte di cittadini e imprese).

Risultati che non fanno che confermare quanto ci era stato detto dal Desi (Digital economy and society index: l’indice di digitalizzazione predisposto dalla Commissione europea). Seppure meno raffinato rispetto a quello del Politecnico, il Desi 2021 (riferito a dati raccolti nella seconda metà del 202o) ci vede, per esempio, al 18esimo per la digitalizzazione della Pa.

Il Pnrr può cambiare questo quadro, a partire proprio dalla pubblica amministrazione, che può contare su 6,14 miliardi per la digitalizzazione e 3,58 per l’innovazione, di cui 2,31 per il comparto giustizia. Si tratta, spiega la ricerca del Politecnico, di far arrivare al traguardo i vari progetti previsti dal Piano, che possono davvero trasformare la Pa solo se si compie anche lo sforzo di “unire i puntini”, ovvero raccordare sia la pubblica amministrazione alle imprese sia il Pnrr agli altri piani strategici nazionali elaborati per dare un nuovo volto digitale al Paese.

«In questi anni - spiega Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio agenda digitale - l’Italia ha fatto tanti investimenti in componenti per ammodernarsi. Pensiamo alla diffusione di Spid, all’Anagrafe della popolazione residente, al sistema pagoPA, alla carta di identità elettronica, al fascicolo sanitario informatizzato. Ciò che ancora manca è l’interoperabilità tra queste soluzioni, la possibilità di farle parlare tra loro. Nel Pnrr ci sono 650 milioni dedicati al tema. Eppoi occorre sviluppare il cloud dove trasferire i dati della pubblica amministrazione, operazione a cui il Piano riserva risorse per 1,9 miliardi: 900 milioni per la realizzazione delle infrastrutture e un miliardo per attuare la migrazione delle informazioni».

L’attuazione del Pnrr - suggerisce la ricerca - deve anche passare per il miglioramento dei processi di procurement della Pa, che acquista da aziende private la quasi totalità delle soluzioni digitali.

Una spesa destinata verso poche grandi aziende: 50 fornitori si spartiscono il 67% degli investimenti in tecnologia e addirittura 5 imprese possono contare sul 32% dei contratti.

C’è poi il fattore tempo: occorrono in media 4,5 mesi per assegnare una gara per soluzioni digitali. Bisogna fare più in fretta e allargare il mercato.

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