Fisco e contabilità

La Pcc e le inside della mancata storicizzazione dello stock del debito

In una situazione di "variabilità" dello stock del 2021, gli scenari che si aprono potrebbero essere diversi

di Elena Masini

Entro il 28 febbraio gli enti sono tenuti a stanziare nel bilancio di previsione il fondo di garanzia dei debiti commerciali, in base all'articolo 1, comma 862, della legge 145/2018. Per farlo dovranno verificare due parametri:
a) lo stock del debito scaduto al 31 dicembre 2022;
b) l'indicatore di ritardo dei pagamenti.

Stock del debito scaduto al 31 dicembre 2022
Per evitare l'obbligo di accantonamento al fondo, il comma 858, letticolo a) della legge 145/2018 obbliga gli enti a ridurre del 10% lo stock del debito scaduto rilevato nell'esercizio precedente (2021). In caso di mancata riduzione, non sussiste l'obbligo qualora lo stock del debito scaduto alla fine del 2022 non superi il 5% delle fatture ricevute nel medesimo esercizio. Ancora per il 2023 sarà possibile quantificare lo stock del debito sulla base delle evidenze contabili dell'ente, senza necessariamente assumere come valido il dato risultante in Pcc. Lo ha previsto l'articolo 9, comma 2, lettera a), del decreto legge 152/2021 convertito dalla legge 233/2021) al fine di dare più tempo agli enti per bonificare le banche dati ed allinearsi con la Piattaforma per la certificazione dei crediti. Coloro che intendono avvalersi di tale "deroga" dovranno sottoporre il dato alla verifica dell'organo di controllo interno di regolarità amministrativo contabile (ovvero l'organo di revisione) e comunicare al ministero, per il tramite della piattaforma, lo stock del debito. Proprio per agevolare gli enti nell'attività di risanamento dei dati relativi alle registrazioni dei pagamenti e dei documenti contabili, la Ragioneria generale dello stato tiene ancora aperta la comunicazione dello stock del debito alla fine del 2021. Se da un lato questo approccio va incontro agli enti, dall'altro comporta anche la modifica dello stock del debito 2021 che non essendo bloccato, risente oggi delle operazioni compiute sia nel 2022 che nel 2023, oltre che essere "sporcato" di errori connessi alle conversioni delle banche dati da Pcc ad AreaRgS. In particolare, in relazione ad un esercizio per il quale è ancora aperta la funzione di comunicazione dello stock, questo si aggiorna in due casi:
1) in diminuzione, se si registrano tardivamente pagamenti effettuati nell'esercizio in questione ovvero si sospendono/chiudono fatture;
2) in aumento, se si utilizzano (in un mandato o si registrano come non liquidabili) note di accredito ricevute nell'esercizio. In particolare, se si chiudono nel 2022 note di credito ricevute nel 2021, lo stock alla fine del 2021 cresce.

I problemi della mancata storicizzazione del dato
La mancata storicizzazione dello stock del debito al 31 dicembre 2021, però, pone un problema di "attendibilità" dei dati assunti lo scorso anno per determinare la virtuosità o meno dell'ente rispetto all'obbligo di accantonamento al fondo di garanzia, oltre che di veridicità degli atti adottati in funzione di quel dato. Molti enti, infatti, avevano allineato la propria contabilità al dato della Pcc, assumendo il conseguente stock del debito non solo per verificare o meno l'obbligo di accantonamento ma anche per assolvere agli obblighi di trasparenza. Di fronte ad uno stock alla fine del 2021 che oggi in PCC risulta diverso da quello assunto lo scorso anno, come ci si deve comportare? La domanda non ha una risposta semplice né pacifica, perché investe i criteri di quantificazione dello stock che sono determinati in via "convenzionale". Mutuando le regole stabilite per calcolare l'indicatore di ritardo dei pagamenti, che cristallizza il ritardo al 31 dicembre dell'esercizio, avrebbe senso bloccare lo stock ad una determinata data, cosicché tutte le modifiche che intervengono successivamente, pur funzionali a bonificare la situazione, non hanno effetto retroattivo. Perché, ci si chiede, se si chiude a febbraio 2023 una nota di credito pervenuta ad ottobre 2021 per la quale solo oggi si accerta come non sussistente il credito, tale modifica deve retroagire sullo stock del 2021? Il sistema, in sostanza, dovrebbe bloccare il dato dello stock comunicato entro il 28 febbraio 2022 ai fini giuridici e consentire la bonifica dei dati che incideranno solamente sullo stock dell'anno successivo.

Quali ricadute sugli enti
In questa situazione di "variabilità" dello stock del 2021, gli scenari che si aprono potrebbero essere diversi. In assenza di indicazioni ufficiali, si ritiene che - laddove la modifica dello stock del debito alla fine del 2021 per effetto delle operazioni compiute nel 2022 non muti la situazione (nel senso di obbligo o meno di accantonamento) - l'ente possa limitarsi a prendere atto della nuova quantificazione, comunicando alla Pcc il nuovo dato (se si ritiene di confermarlo). Laddove tale modifica, al contrario, muti la situazione dell'ente, nel senso che da virtuoso diventa non virtuoso (in quanto, ad esempio, l'aumento dello stock del debito alla fine del 2021 comporti la non riduzione rispetto al 2020 ovvero il superamento del 5% delle fatture ricevute nell'anno), si dovrà non solo prendere atto e spiegare le differenze, ma anche attualizzare la situazione ad oggi per cui:
• se non era stato disposto nel 2022 l'accantonamento al Fgdc che oggi risulterebbe dovuto, si valuterà di accantonare le risorse nel risultato di amministrazione;
• se era stato disposto nel 2022 l'accantonamento al Fgdc che oggi risulterebbe non dovuto, si potranno liberare le risorse nel rendiconto 2022.

In attesa di chiarimenti, appare inevitabile assumere il dato aggiornato dello stock alla fine del 2021 per calcolare l'avvenuta riduzione del debito alla fine del 2022 ed aggiornare anche l'informazione su amministrazione trasparente.

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