Fisco e contabilità

Imu, la dimora abituale va legata solo al proprietario

Le contraddizioni normative alla base dell’autorimessione della Corte costituzionale

di Pasquale Mirto

La Corte Costituzionale ha sollevato davanti a sé stessa la questione di costituzionalità sulla regola generale stabilita dalla normativa Imu che prevede la residenza anagrafica e la dimora abituale non solo del possessore dell’immobile, ma anche del suo nucleo familiare (NT+ Enti locali & edilizia del 25 marzo) . Questa previsione, secondo la Corte, potrebbe diventare un elemento di ostacolo all’esenzione per ciascun componente della famiglia che avesse residenza anagrafica ed effettiva dimora abituale in un immobile diverso. La Corte ha ritenuto questa questione pregiudiziale rispetto a quella sollevata dalla Ctp di Napoli, che non aveva condiviso l’interpretazione (consolidata) della Cassazione, secondo cui l’esenzione dall’Imu per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare andava esclusa qualora uno dei suoi componenti avesse la residenza anagrafica in un immobile di un altro Comune.

Queste sono le motivazioni contenute nel comunicato stampa, in cui si anticipa che le motivazioni dell’ordinanza di autorimessione saranno depositate nelle prossime settimane.

La questione riguarda diverse norme: l’articolo 13, comma 2 del Dl 201/2011, in vigore fino al 31 dicembre 2019, e l’articolo 1, comma 741, lettera b) della legge 160/2019, in vigore dal 1° gennaio 2020, anche nella versione modificata dall’articolo 5-decies del Dl 146/2021, con cui si è ammessa la possibilità di possedere un’abitazione principale anche nel caso di spacchettamento della famiglia su due Comuni diversi.

Nemmeno l’ultima modifica normativa sembra sufficiente perché il problema nasce a monte, ovvero dal fatto che la nozione di abitazione principale non tiene conto della situazione del suo possessore, ma anche (e genericamente) di tutti i componenti del nucleo familiare.

Finora, il buon senso interpretativo ha fatto ritenere che nell’applicazione della norma si dovesse verificare la residenza e la dimora dei due coniugi o, comunque della coppia di fatto che ha lo stesso stato di famiglia. Ma la norma fa riferimento genericamente ai componenti della famiglia, e tale è anche il figlio maggiorenne che per motivi di studio acquisisce una dimora abituale in altra città.

A stretto rigore, anche in questo caso in cui i genitori continuano a risiedere e dimorare nella stessa abitazione, la circostanza che il figlio, pur mantenendo la residenza anagrafica con i genitori, sposti la dimora abituale in altro Comune dove frequenta l'università, fa venir meno le condizioni richieste per poter considerare abitazione principale l'immobile dei genitori. E allora il problema non è nell'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione, la quale si è limitata ad applicare testualmente il dato normativo, non accettando le aperture estensive del Mef, ma nella norma, e soprattutto nel collegamento tra soggetto passivo Imu (il possessore dell'abitazione) ed i suoi familiari.

La questione potrebbe essere risolta considerando come abitazione principale quella dove il possessore ha stabilito la propria residenza anagrafica e la propria dimora abituale. La condizione della dimora abituale è necessaria al fine di intercettare tutte le residenze fittizie, motivate da ragioni turistiche e non lavorative. La decisione della Corte ha, infine, un riflesso immediato non solo sui ricorsi pendenti, ma anche nei confronti degli atti di accertamento che i comuni hanno notificato, o stanno notificando, per effettuare i recuperi dell'Imu sulla base della giurisprudenza di legittimità, accertamenti che se non sono divenuti definitivi occorre impugnare, in attesa della pronuncia definitiva della Corte costituzionale.

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