Amministratori

No della Consulta alla legge della Regione Abruzzo che vieta la realizzazione di inceneritori

Il legislatore regionale si è inserito in un ambito che non gli spetta in quanto compito dello Stato

di Pietro Verna

La normativa della Regione Abruzzo che vieta la realizzazione di impianti di incenerimento di rifiuti urbani viola la potestà legislativa esclusiva statale in materia di ambiente attribuita dall'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Lo ha stabilito la Consulta con la sentenza n. 191/2022 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 45/2020 (Norme a sostegno dell'economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti) nella parte in cui ribadisce «la volontà della Regione di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani».

La sentenza della Consulta
Nel giudizio di costituzionalità promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato aveva affermato che l'articolo 1, comma 4, della legge regionale 45/2020 sarebbe stato in contrasto con:
• l'articolo 195, comma 1, lettera f), del codice del Testo unico dell'ambiente - Tua, secondo cui spetta allo Stato «l'individuazione, [degli] impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese; l'individuazione è operata […] a mezzo di un programma, adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri […]»;
• l'articolo 198 -bis del Tua che prevede l'adozione del programma nazionale sulla gestione dei rifiuti- PNGR. Piano che contiene «l'indicazione dei criteri generali per l'individuazione di macroaree [che] consentano la razionalizzazione degli impianti dal punto di vista localizzativo, ambientale ed economico, sulla base del principio di prossimità, anche relativamente agli impianti di recupero, in coordinamento con quanto previsto all'articolo 195, comma 1, lettera f)»;
• l'articolo 35, comma 1, del decreto legge n. 133/2014, convertito dalla legge n. 164/2014, a mente del quale «il Presidente del Consiglio dei ministri […], con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale […]. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale , attuano un sistema integrato [e] consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore».
Mentre i difensori della Regione avevano sostenuto che la norma impugnata avrebbe semplicemente ribadito le previsioni del Piano regionale di gestione dei rifiuti- Prgr riguardo alla «propensione a soluzioni alternative agli inceneritori». Tesi che non ha colto nel segno. La Corte costituzionale ha confermato l'orientamento secondo il quale «le regioni possono esercitare competenze legislative proprie per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, purché l'incidenza nella materia di competenza esclusiva statale sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela» (ex multis, sentenza n. 86/2021). In particolare ha richiamato la sentenza n. 189/2021 che ha dichiarato l'incostituzionalità della normativa della Regione Lazio (l.r. 27/1998) che delegava ai Comuni «l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonché l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione» e la sentenza n. 154/2016 che ha dichiarato l'incostituzionalità della normativa della Regione Basilicata (l.r.n.4/2015) che prevedeva «la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata e la contestuale adozione di soluzioni tecnologiche e gestionali destinate esclusivamente alla riduzione, riciclo, recupero e valorizzazione dei rifiuti». Da qui la decisione della Consulta: «il legislatore regionale si è inserito in un ambito che non gli pertiene: la valutazione della necessità di collocare un impianto di incenerimento nel territorio abruzzese è compito dello Stato». Ciò non mancando di evidenziare il contrasto tra quanto rappresentato dal Piano regionale di gestione dei rifiuti («la realizzazione di un inceneritore non troverebbe attuale giustificazione, né tecnicamente, né economicamente, né ambientalmente») e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016, che, nell'individuare il fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento, aveva verificato che in Abruzzo vi era una quantità di rifiuti non efficacemente smaltiti e che risultava «giustificata la realizzazione di un nuovo impianto da 120.000 tonn/anno, tale da soddisfare le esigenze regionali».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©