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Edilizia, Cresme: 106 miliardi aggiuntivi in tre anni, +460mila posti sul pre-Covid ma frenata nel 2023

La previsione per il prossimo anno è di una crescita ulteriore ma contenuta a +1%

di Giorgio Santilli

Chi ancora non avesse voluto vedere la spinta del settore delle costruzioni all'economia italiana negli ultimi tre anni dovrebbe leggere i numeri presentati dal Cresme (Centro di ricerche economiche, sociologiche e di mercato per l'edilizia) nella sua Relazione congiunturale annuale, presentata ieri a Milano. Numeri clamorosi che vanno oltre le fotografie scattate in questi mesi: 106 miliardi di investimenti aggiuntivi nelle costruzioni nel triennio 2020-2022 rispetto all'anno pre-Covid (2019) con una crescita in termini reali (quindi deflazionata rispetto ai forti aumenti dei prezzi nel settore) del 20,4% nel 2021 e del 14,9% nel 2022; 460mila posti di lavoro in più nel 2022 rispetto al 2019 (il dato è più alto di quello Istat ma arriva da un aggiornamento recentissimo delle casse edili); il peso delle costruzioni sul Pil salito al 13,9% (dato 20-22 che è il più alto in Europa e secondo solo al Canada fra i paesi occidentali). Pil italiano 2022 che Cresme accredita al 3,8%, più alto del consensus e della stessa Nadef (3,7%).

Ma per l'edilizia il 2022 chiude una fase e ne apre un'altra radicalmente diversa e piena di incertezze. «Scendere per cambiare treno», ha sintetizzato il direttore del Cresme, Lorenzo Bellicini, nel titolare il Rapporto di quest'anno che comunque, come sempre si porta dentro una riflessione di medio periodo, oltre a quella strettamente congiunturale. Il treno da cui si scende è quello della riqualificazione abitativa, trainata dai bonus edilizi e dal Superbonus cui il Cresme attribuisce - come ha già scritto Il Sole 24 Ore nell'edizione del 16 novembre - un contributo del 22% alla crescita totale del Pil. Il treno su cui si sale è quello del Pnrr e più in generale delle opere pubbliche, che non sono soltanto Pnrr. In questo quadro il 2023 sarà un anno di passaggio con una previsione di frenata ma ancora crescita complessiva (+0,9%) data da un -9% dalle riqualificazioni residenziali e un +41,7% dalle nuove opere pubbliche (qui c'è il decollo sostanziale del Pnrr). Nel 2024 queste tendenze sarebbero accentuate con una perdita del 7,1% degli investimenti totali e del 22,6% per la riqualificazione abitativa.

Qui c'è il tema di cosa vorrà fare il governo dopo il Superbonus, se avviare o meno una politica convincente e di lungo periodo per l'efficientamento energetico e la decarbonizzazione del patrimonio immobiliare. Tema che sarebbe più utile affrontare con analisi e valutazioni fondate su basi serie piuttosto che a colpi di accelerazioni e frenate. C'è evidentemente per l'edilizia un gigantesco tema prezzi che Bellicini ha sintetizzato con la domanda: «sta vincendo una crescita reale e di efficienza o il magazzino?». Ne va soprattutto del futuro, di cosa resterà di questa crescita, se avrà consentito un salto di modernizzazione al settore e al Paese o si tornerà indietro «con il serio rischio di farsi molto male». Sui prezzi Bellicini ha anche polemizzato con Istat che per il 2022 usa un deflattore di settore del 3,8% per il 2021 (contro il 10,9% del Cresme) e del 6,8% e 8,2% rispettivamente nel primo e secondo semestre 2022 (contro il 12,9% del Cresme). Ma il Cresme - che ieri ha festeggiato i suoi 60 anni di attività - ammette che il tema prezzi ha preso di sorpresa gran parte del settore e propone un «Osservatorio prezzi» per svolgere un'analisi che parta dal fenomeno in corso e resti poi nel tempo.

Proprio perché il Cresme vede il futuro prossimo del settore legato strettamente al «disegno di modernizzazione» che c'è dietro il piano delle opere pubbliche, da Bellicini sono arrivati tre messaggi di allarme al governo, tre richieste di continuità per non interrompere la crescita già in corso e l'accelerazione in arrivo. Il primo messaggio è che esiste uno sviluppo di lungo corso, che origina dal 2015 con il piano degli investimenti pubblici varato allora e che oggi si riflette nella crescita dei pagamenti (dai 32,5 miliardi del 2016 ai 45,8 del 2021 con segnali di ulteriore crescita nel 2022) e nei numeri record di aggiudicazioni del 2021 (record storico con 48 miliardi), anno in cui certamente il Pnrr non aveva ancora scatenato la sua forza attuativa. Serve una logica di lungo periodo che non faccia prevalere discontinuità ma accompagni il settore lungo binari già definiti, per coglierne a pieno i risultati. Secondo messaggio: «Se è vero che non tutto il Pnrr si riuscirà a realizzare entro il 2026, non è vero che siamo in ritardo come si dice e ancora una volta il dato delle aggiudicazioni, stavolta del 2022, ce lo dimostrano, con un +48% rispetto al dato record del 2021».

E fa il caso delle Ferrovie. «Hanno dimostrato di avere una squadra tecnica di eccellenza con Rfi e Italferr nella progettazione e nella gestione delle gare: hanno fatto un grande sforzo e poi si sono dovuti fermare quattro mesi per ricontrattare i prezzi dopo la crescita dei costi dei materiali, ma hanno dato una risposta pronta e stanno rimettendo tutto in moto rapidamente». Questa macchina non va fermata se non si vuole bloccare l'attuazione del Pnrr. E se i primi due messaggi hanno un larghissimo consenso nel settore, il terzo è invece fortemente controcorrente. «Non cambiate il codice degli appalti - dice Bellicini - perché bloccherete l'attuazione del Pnrr. Dalla legge Merloni fino al codice del 2016 è sempre successo che far entrare in vigore un nuovo codice ha bloccato per due anni i lavori». La commissione Ue - che lo ha inserito fra i target del Pnrr per marzo 2023 - non sarebbe d'accordo, ma c'è modo e modo per farlo. Il rischio c'è.

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