Imprese

Crediti in sofferenza, una priorità permettere ai costruttori di rinegoziare il debito

INTERVENTO. Rapporto aziende-banche: bisogna andare avanti subito con i disegni di legge in discussione al Senato

di Rudy Girardi (*)

La fase che stiamo attraversando finirà, senza dubbio, sui libri di storia come una delle più grandi crisi, dal punto di vista economico, sociale e sanitario, che il mondo intero ha dovuto attraversare.

La situazione del settore delle costruzioni è una delle più difficili perché, nel recente passato, il comparto ha conosciuto in meno di dieci anni già due crisi economiche pesantissime, nelle quali le imprese erano ancora pesantemente coinvolte dal 2008 oltre 137.000 imprese sono uscite dal mercato e circa 600.000 posti di lavoro sono stati persi.
Sono cifre che fanno rabbrividire, perché dietro ogni impresa persa, ci sono i lavoratori e le loro famiglie.

Ma quali sono le cause di questa debolezza delle imprese? Per comprendere la situazione economico-finanziaria delle imprese del settore, è necessario fare una premessa: il ciclo dell'edilizia è caratterizzato da livelli di leva finanziaria molto elevati, non paragonabili agli altri settori economici. Nel campo dell'edilizia privata, infatti, la fase realizzativa è quella maggiormente rischiosa, perché l'impresa è sola, impegnata ad anticipare tutte le risorse necessarie per la costruzione dell'operazione di sviluppo, in vista delle vendite, che avvengono, ormai di regola, ad uno stadio avanzato dei lavori. Negli appalti pubblici, frequentemente l'impresa è diventata il finanziatore dello Stato, visto il ritardo cronico con cui avviene il pagamento delle commesse. A questo elevato indebitamento "strutturale", con la pandemia si è aggiunta una crisi di liquidità, dovuta anche al rallentamento, o in alcuni casi, al fermo, dei lavori durante il lockdown. Queste dinamiche hanno impattato direttamente sulla reddittività degli investimenti, generando squilibri finanziari ed economici importanti.

La conclusione è facilmente immaginabile: da oltre un decennio, dallo scoppio della crisi dei subprime, tutte le imprese del settore, in blocco, sono state dichiarate "rischiose" e quindi non meritevoli, per definizione, del credito bancario (tra il 2007 e il 2019 i finanziamenti erogati per investimenti in costruzioni sono diminuiti di oltre il 70%, passando da 52,5 miliardi nel 2007 a circa 15 miliardi nel 2019).

Negli ultimi 12 mesi, la moratoria sui crediti e l'intervento del Fondo Pmi hanno salvato migliaia di imprese da un sicuro fallimento, come riconosciuto anche dal Governo nell'ultimo Def. Ma la scadenza di questi interventi straordinari, fissata per il 30 giugno 2021, ci fa temere lo scatenarsi di una "tempesta perfetta" su imprese e famiglie.
L'Ance sta lavorando su due fronti: la crescita della consapevolezza delle imprese verso il proprio rischio di credito, attraverso un vero e proprio accompagnamento in banca. Abbiamo sviluppato un servizio per far capire ad ogni impresa associata le azioni che deve mettere in campo per migliorare il proprio equilibrio economico e finanziario per essere "finanziabile" dalle banche o da investitori privati attivi su altre fonti di finanziamento.
Ma è forte la consapevolezza che nel breve periodo c'è bisogno di un'azione straordinaria da parte dello Stato, che permetta alle imprese di guadagnare tempo. Bisogna, senza più esitazioni, favorire la rinegoziazione del debito delle imprese in crisi finanziaria direttamente con le banche.

In commissione Finanze del Senato sono in discussione da mesi tre disegni di legge sul recupero dei crediti in sofferenza che, per la prima volta, sposano il punto di vista anche del debitore, finora completamente ignorato dal legislatore. La scorsa estate, l'Ance ha partecipato al ciclo di audizioni al Senato su queste proposte, evidenziando come il percorso gestionale individuato crea benefici per tutti, al contrario delle Gacs: l'impresa potrebbe restituire il proprio debito e continuare ad operare, tutelando il tessuto produttivo e la forza lavoro, la banca potrebbe usufruire di un regime fiscale agevolato che contempli la deducibilità fiscale della perdita, immediata e opportunamente maggiorata, lo Stato non correrebbe il rischio di pagare eventuali Gacs nel caso di cessione cartolarizzata dei crediti.
Occorre dare un impulso alla stesura definitiva del disegno di legge finale perché sono convinto che solo in questo modo si potrà dare una soluzione al problema di sovraindebitamento delle imprese, rimettendo il maggior numero possibile di debitori nella condizione di tornare a produrre e le famiglie a consumare.

(*) Vicepresidente Centro studi Ance

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