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La sottoscrizione di quote di aumento del capitale sociale dopo l'azzeramento non comporta per l'ente l'acquisto di nuove partecipazioni

Non si ravvisa l'obbligo di assoggettabilità dell'atto al controllo della Corte dei conti

di Anna Guiducci

La sottoscrizione di quote di aumento del capitale sociale deliberato dopo il suo azzeramento non comporta l'acquisto di una "nuova" partecipazione da parte dell'ente e pertanto non si ravvisa l'obbligo di assoggettabilità dell'atto al controllo della Corte dei conti. A ribadire il concetto è la Corte dei conti della Toscana che, nella deliberazione n. 27/2023, torna anche sul raccordo fra le disposizioni civilistiche e la normativa pubblicistica dettata dal testo unico delle società partecipate.

Nell'architettura del Tusp, l'operazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale, disciplinata all'articolo 2447 del codice civile, per la società azionaria, e 2482-ter, per la società a responsabilità limitata, è richiamata solo in via incidentale, quale previsione di coordinamento tra la disciplina finanziaria e il diritto societario, in una prospettiva chiaramente orientata al contenimento e alla razionalizzazione della spesa. L'articolo 14, comma 5, del Tusp stabilisce infatti il divieto, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, di sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali.

Come sostenuto anche dalla Suprema Corte, nell'ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge, lo scioglimento della società si produce automaticamente e immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società, da deliberarsi, peraltro, con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo, in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione risolutiva, vengono meno ex tunc lo scioglimento della società e il diritto del socio alla liquidazione della quota.Tale effetto si determina sia quando la perdita "qualificata" abbia ridotto il capitale al disotto del minimo legale, sia nell'ipotesi in cui essa abbia eroso l'intero capitale in quanto il patrimonio netto è pari a zero o è negativo.

In ragione del principio di invarianza (articolo 2482-quater del codice civile), l'immodificabilità delle quote di partecipazione dei diritti a esse connesse implica che l'azzeramento del capitale sociale per perdite non comporta l'estinzione della partecipazione; il socio perderà tale qualifica solo nell'ipotesi in cui ritenga di non sottoscrivere il contestuale aumento di capitale. L'operazione di riduzione del capitale, e il contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale fissato per il tipo, è pertanto posta in essere in piena continuità del rapporto sociale del socio con l'organismo partecipato. Come più volte rammentato, le vicende societarie che non determinano l'acquisizione ex novo della qualifica di socio, ma che generano un effetto meramente modificativo di partecipazioni detenute, quali gli aumenti di capitale sottoscritti da amministrazioni socie, sono escluse ai fini del controllo previsto dall'articolo 5 del Tusp.

Una volta chiarita la questione, i magistrati richiamano però l'attenzione sulla circostanza che le operazioni di ricapitalizzazione per coprire le perdite strutturali, suscettibili di minacciare la continuità aziendale, da un lato, potrebbero impattare negativamente sui bilanci pubblici compromettendone la sana gestione finanziaria; dall'altro lato, potrebbero confliggere con le disposizioni dei Trattati europei (articolo 106 del Tfue), le quali vietano che soggetti che operano nel mercato comune beneficino di diritti speciali o esclusivi, o comunque di privilegi in grado di alterare la concorrenza nel mercato. In questa prospettiva, l'introduzione del divieto di soccorso finanziario ha imposto l'abbandono della logica del salvataggio a ogni costo della società partecipata e ha imposto valutazioni e approfondimenti istruttori da parte del socio pubblico in merito alla sostenibilità economico-finanziaria del soggetto partecipato nel medio-lungo periodo e alla sua capacità di superamento, anche grazie all'intervento pubblico, della crisi aziendale.

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