Imprese

Da Eni a Enel, stretta a stipendi e buonuscite dei manager

Nelle politiche di remunerazione dei nuovi vertici l’azionista Mef dovrà assicurare il taglio dei costi, l’aumento di peso delle componenti variabili e limitare al massimo le indennità di addio

di Gianni Trovati

Nell’ultima versione del decreto Lavoro entra a sorpresa un cambio di rotta drastico sugli stipendi dei vertici delle quotate di Stato. In un panorama che va da Enel a Eni, da Leonardo a Poste fino a Enav e Monte dei Paschi, la nuova regola chiede al ministero dell’Economia di «esercitare il diritto di voto» per assicurare che le politiche di remunerazione da applicare ai nuovi incarichi di vertice rispondano a tre obiettivi: «contenere i costi di gestione», «privilegiare le componenti variabili direttamente collegate alle performance aziendali e a quelle individuali rispetto a quelle fisse» ed «escludere o comunque limitare i casi e l’entità» delle buonuscite da riconoscere in caso di dimissioni o fine mandato.

In sostanza, nell’ottica del ministero dell’Economia si tratta di una sorta di “moralizzazione” delle buste paga dei manager per cancellare o quanto meno limitare al minimo le prassi di compensi che oltre a essere ovviamente elevati sono blindati da componenti fisse scorrelate ai risultati effettivi ottenuti dall’azienda.

Nelle società quotate, va ricordato, non si applica ovviamente il limite generale che impedisce agli stipendi pubblici di superare i 240mila euro lordi all’anno (tetto oggi indicizzato agli aumenti medi riconosciuti nei rinnovi contrattuali del pubblico impiego). La nuova regola in realtà interviene anche su questa soglia, precisando che nel calcolo delle voci da contenere sotto il tetto entrano anche i gettoni di presenza riconosciuti per la partecipazione agli organi amministrativi e di controllo delle Pubbliche amministrazioni inserite nell’elenco Istat. Tra queste realtà rientrano anche società come Rfi, Fintecna, Sogei, Sose e così via.

Ma è naturalmente l’intervento sulle quotate a offrire le novità di maggiore peso. Le modalità di governance riviste dalla norma si applicheranno infatti ai vertici indicati nell’ultima tornata di nomine, che fin qui ha costruito le liste del Tesoro. Il conferimento dell’incarico che fa scattare il cambio di regole, però, avverrà dopo l’entrata in vigore del decreto.

L’8 maggio sarà la volta di Poste, dove accanto alla conferma di Matteo Del Fante come ad è indicata Silvia Rovere come presidente, il giorno dopo sarà il turno di Terna (Giuseppina di Foggia ad e Igor De Biasio presidente) e di Leonardo (Stefano Cingolani e Stefano Pontecorvo) mentre il 10 toccherà a Eni (Claudio Descalzi e Giuseppe Zafarana) ed Enel (Flavio Cattaneo e Paolo Scaroni nella lista Mef).

L’intervento sugli stipendi di vertice, tema a cui è tradizionalmente attento il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che da titolare dello Sviluppo economico aveva tentato un’operazione simile per i compensi dei commissari straordinari, poi stoppata dalla caduta del Governo Draghi), muove un orizzonte della governance delle partecipate che era statico da parecchi anni. E potrebbe rappresentare la premessa di una revisione più ampia, che riguarda l’universo delle società pubbliche (centrali e locali) non quotate. Lì si attende il decreto attuativo che dovrebbe attuare l’architettura dei tetti stipendiali su cinque fasce, modulate sulla base delle dimensioni economiche e organizzative di ogni azienda. La riforma è del 2016; il decreto del Tesoro circola in bozza da molto tempo, ma fin qui non ha trovato la via dell’approvazione.

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