Fisco e contabilità

Pnrr, rata da 19 miliardi a rischio sul nodo concessioni nei porti

Bruxelles boccia la riforma approvata a dicembre perché non fissa una durata limite, permette le proroghe e non coinvolge un’Autorità terza. Senza l’ok politico, stallo sul via libera ai fondi

di Gianni Trovati

Non ci sono solo sdraio e ombrelloni a scaldare il confronto fra il Governo italiano e la Commissione europea sulle concessioni. Sul tavolo troneggia una questione che fin qui è passata sotto silenzio, ma che muove interessi economici rilevanti e soprattutto sta complicando le verifiche Ue sul rispetto degli obiettivi Pnrr della seconda metà 2022: cioè quelli collegati alla terza rata che entro la fine del mese attende il verdetto dell’esecutivo comunitario sull’assegno da 19 miliardi da indirizzare all’Italia.

In un esame che si sta facendo più duro anche per l’irrigidimento della Corte dei conti Ue, e che mette sotto esame i provvedimenti del governo Draghi oltre a quelli targati Meloni, un dossier che da settimane sta animando i negoziati fra Roma e Bruxelles è quello delle concessioni portuali. Sono oltre 200, e da Genova a Cagliari, da Trieste a Gioia Tauro riguardano 13 milioni di metri quadrati di banchine date app.unto in concessione per ospitare gli impianti e i servizi necessari a imbarco e sbarco di persone e merci. A differenza di quel che sta accadendo sulle spiagge, nei porti la riforma (la numero 1.2 della Missione 3, Componente 2 del Piano) è stata avviata davvero, e il regolamento approvato con il decreto 202/2022 dei ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia che sul punto attua la legge sulla concorrenza è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre scorso, ultimo giorno utile per rispettare la scadenza del Pnrr. Ma non piace alla Commissione. Che lo giudica troppo timido e quindi inadeguato a sviluppare quel «potenziamento della competitività del sistema portuale italiano» chiesto dal Piano.

Come sempre quando si parla di concessioni, i problemi più delicato si incontrano nella ricerca dell’equilibrio fra la tutela degli investimenti realizzati dai titolari attuali e l’apertura a nuovi operatori che possono entrare nel mercato. Ma nel caso dei porti italiani c’è una variabile in più: perché il mercato esiste davvero in una manciata di porti, cioè quasi esclusivamente negli scali maggiori del Centro-Nord dove l’apertura potrebbe accendere reali appetiti competitivi, mentre altrove il manuale della concorrenza perfetta rischia di rimanere confinato nella teoria complicando però la pratica delle gestioni.

Fatto sta che, incassata la bocciatura sostanziale del decreto finito in extremis sulla Gazzetta Ufficiale, il governo ha cercato di spingersi un po’ più in là con un nuovo provvedimento, sotto forma di Linee guida per l’applicazione del regolamento.

Il testo, articolato in 14 paragrafi, disciplina la consultazione preventiva che le Autorità portuali possono svolgere prima del bando per verificare e stimolare l’interesse degli aspiranti concessionari, dettaglia i contenuti e le procedure dei bandi e fissa i parametri di valutazione del Piano economico finanziario che deve garantire lo sviluppo degli investimenti. Ma proprio sul regolamento le trattative con Bruxelles si sono incagliate di nuovo: perché nel testo mancano almeno tre aspetti che la Ue giudica irrinunciabili.

Non c’è, prima di tutto, una durata predeterminata delle concessioni, che secondo le Linee guida andrà «commisurata agli investimenti previsti dal Piano economico finanziario». Non prevede il giudizio di un’Autorità terza, come quella sui Trasporti o sulla Concorrenza, che è invece ingrediente tradizionale nelle ricette Antitrust di Bruxelles. E fa largo alla possibilità di una proroga, che riguarda le concessioni con durata superiore a 10 anni ma è indigesta ai principi concorrenziali comunitari.

Anche perché nell’alimentare le pressioni Ue non è secondaria l’immagine di un quadro sclerotizzato da una vita media delle concessioni attuali che a livello nazionale si attesta poco sotto i 16 anni, ma arriva a sfiorare il trentennio a Taranto e supera i 26 anni a Gioia Tauro. Nei ministeri arrivano però spinte altrettanto forti in senso contrario, dai concessionari ma anche da molte Autorità portuali preoccupate dall’assenza di una reale contendibilità delle loro banchine.

Il verdetto per ora resta sospeso, e impegna il governo in uno sforzo negoziale che coinvolge anche provvedimenti dell’esecutivo precedente. Nell’attesa di una decisione comunitaria che dovrà essere politica oltre che tecnica: perché dalle sorti del Pnrr italiano dipende anche una buona fetta del successo di tutta l’operazione Next Generation Eu su cui si è impegnata la commissione.

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