Il CommentoAmministratori

Partecipate, regole anticrisi comuni ma con limiti speciali

di Harald Bonura e Davide Di Russo

Il Codice della crisi (Dlgs 14/2019) ha attribuito un ruolo centrale agli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’impresa, che possono considerarsi adeguati solo se in grado di garantire la tempestiva rgilevazione dei possibili squilibri economici, patrimoniali e finanziari. Il Codice chiede quindi all’imprenditore collettivo un assetto organizzativo adeguato ex articolo 2086, comma 2, del Codice civile (modificato dallo stesso Dlgs 14/2019) per la tempestiva rilevazione dello stato di crisi e della perdita della continuità aziendale, e di adottare e attuare uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il recupero della continuità aziendale. L’onere ricade sull’organo amministrativo (articoli 2380-bis e 2409-novies per le spa e 2475 per le srl del codice civile, modificati dal Dlgs 14/2019). Il Tusp (Dlgs 175/2016) rinvia per la disciplina della crisi al regime ordinario (articolo 14, comma 1), fermo quanto stabilito dallo stesso Testo unico. Il Codice della crisi fa salve le disposizioni speciali sulle società pubbliche (articolo 1, comma 3) ma include tra i destinatari le «società pubbliche» (articolo 1, comma 1), come tali intendendo tutte le partecipate definite dal Tusp.

Quindi la centralità degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili vale anche per le partecipate, a maggior ragione ove si consideri il ruolo “anticipatore” del Tusp che aveva già introdotto, per le controllate, l’obbligo di predisporre programmi di valutazione del rischio di crisi nella relazione sul governo societario (articolo 6, comma 2); e, in capo agli amministratori, in caso di emersione di uno o più indicatori di crisi, quello di adottare senza indugio i provvedimenti necessari per prevenirne l’aggravamento, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause. Ma solo il Tusp (articolo 14, comma 3) stabilisce che la mancata adozione di provvedimenti adeguati configura una grave irregolarità ex articolo 2409 del Codice civile, mentre analoga previsione non si riscontra nel diritto comune. I primi orientamenti giurisprudenziali sembrano però avere “esteso” al diritto comune il principio del Tusp, per cui la mancata adozione di adeguati assetti costituisce una grave irregolarità, tale da imporre la revoca dell’organo amministrativo e la nomina di un amministratore giudiziario (Tribunale Cagliari, 19 gennaio 2022; Tribunale Roma 8 aprile 2020; Tribunale Milano, 18 ottobre 2019).

Quali siano in concreto i provvedimenti necessari che gli amministratori delle controllate (ma, a questo punto, anche delle partecipate) dovrebbero adottare in funzione preventiva o proattiva dello stato di crisi è lasciato all’interprete, dato il carattere aperto dell’articolo 14 del Tusp. Al di là delle indicazioni in negativo fornite dai commi 4 e 5 (dove si prevede quali interventi non sono considerati adeguati o sono addirittura vietati), anche per le società pubbliche si deve guardare al Codice della crisi. Gli amministratori, in base allo stadio della crisi rilevata, potranno ricercare una risposta interna o tentare un percorso stragiudiziale (ad esempio la composizione negoziata) o, ancora attivare uno strumento di regolazione della crisi (salvo, ovviamente l’opzione liquidatoria).

Se la società pubblica si avvale di una misura del Codice della crisi, l’ammissibilità della opzione prescelta sarà sempre subordinata al rispetto dei limiti (speciali) fissati dal Tusp su ripiano perdite e soccorso finanziario, nonché alla disciplina sugli aiuti di Stato.