Il CommentoAmministratori

Autonomia, una intesa da partecipare al plurale regionale

di Enrico Caterini ed Ettore Jorio

Il Ddl Calderoli, oramai fatto proprio dal Governo, ha invaso il confronto televisivo e della carta stampata. Il disordine e la distorsione dei temi che il testo pre-legislativo coinvolge sono tali da rendere preliminarmente utile la scansione dell'iter di approvazione delle intesa Stato-Regione, sancito nell'articolo 2. Meglio, sulla procedura da seguire, invero un po' contorta e multifaceted.

Il dovere di schematizzarla
L'istanza della Regione a statuto ordinario, da perfezionare secondo i rispettivi Statuti, tale da divenire espressione massimamente condivisa della Istituzione, dovrà essere trasmessa al Premier e al Ministro per gli affari regionali. Di conseguenza, quest'ultimo - sentiti i Ministri competenti e quello posto a capo del Mef che dovranno esprimere la loro valutazione entro trenta giorni – avvierà un negoziato con la Regione interessata alla maggiore attribuzione di materia o di ambiti di esse.
Il risultato del negoziato, tradotto in uno schema preliminare d'intesa a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e da quello della Regione, sarà approvato dall'Esecutivo e, dunque, inviato alla Conferenza Unificata chiamata a esprimere un parere non vincolante.
Ed è qui che vengono coinvolte le Camere perché le stesse sottopongano il tutto all'«esame da parte dei competenti organi parlamentari», chiamate a pronunciarsi «con atti di indirizzo» da concretizzare entro sessanta giorni dal ricevimento dello schema dell'intesa preliminare. Un adempimento politico-istituzionale, aggiunto alle versioni precedenti da quella approvata dal Governo lo scorso 2 febbraio, che potrebbe essere letto come occasione di raccordo nella definizione di uno strumento ordinamentale utile a favorire la definizione delle scelte in relazione al fine da perseguire dettato dall'articolo 116, comma terzo, della Costituzione (si veda NT+ Enti locali & edilizia dell'8 febbraio).
Un primo step parlamentare che assume un ruolo di complementarietà e di confronto/proposta sulle scelte della politica governativa, correlato all'ultimo e definitivo adempimento legislativo ove le Camere saranno impegnate a votare la legge attributiva delle maggiori competenze legislative. Successivamente, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro degli affari regionali avranno il compito di predisporre lo schema definitivo dell'intesa, da sottoporre all'approvazione della Regione e immediatamente dopo dal Governo, che dovrà essere sottoscritta, ovviamente, da entrambe le istituzioni coinvolte. Tale documento dovrà essere trasmesso alle Camere per l'approvazione finale con una legge votata dalla maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

Una considerazione sull'esercizio della democrazia
Al riguardo, è appena il caso di precisare che nel testo del Ddl Calderoli approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 febbraio scorso è, ovviamente scomparso quel «trasmesso alle Camere ai fini della mera approvazione» contenuta nel testo elaborato in ottobre/novembre trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni e, da lì, inviato dal Presidente Fedriga alle Regioni lo scorso 9 novembre. Un assunto, quello ante ultima modificazione, che avrebbe offeso la Costituzione e le prerogative parlamentari. Ciò in quanto queste ultime sarebbero state del tutto amputate, tenuto conto - stante il rigido percorso propedeutico alla formazione dell'intesa Stato-Regione e l'attribuzione giuridica riconosciuta alla stessa – della esclusa potestas di apportare modifiche al disegno di legge specifico, ma soprattutto all'allegata intesa che costituisce pertanto un suo allegato insindacabile e immodificabile. In buona sostanza, con una siffatta opzione al Parlamento viene conferita l'autorità di approvare o meno l'ipotesi legislativa sottoposta dal Governo al suo esame nel suo complesso, ma non di incidere sul contenuto dell'intesa allegata.

Due regole da analizzare su cosa possono fare le Regioni
Il percorso individuato dal Ddl Calderoli suscita una serio approfondimento, soprattutto in relazione a due punti:
1) le modalità di perfezionamento dell'«l'atto o degli atti d'iniziativa di ciascuna Regione» di attivazione del procedimento, «deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali»;
2) la potestà legislativa regionale di estendere la propria iniziativa, sin dalla sua originaria istanza ovvero nel corso del successivo negoziato, ad altre Regioni, a mente dell'articolo 117, comma ottavo, della Costituzione.

Una legge regionale sempre
Quanto al primo, diventa indiscutibile che la modalità di "deliberazione" della Regione di un siffatto gravoso impegno non può che essere perfezionato attraverso una legge regionale. Meglio, di una legge regionale approvata a seguito di un Ddl della giunta collaborato da un progetto di fattibilità giuridica, tecnica ed economica concertato con il sistema autonomistico e le organizzazioni del lavoro, della produzione e del sociale, nel quale vengono scandite le convenienze e il valore aggiunto per la Regione a una maggiore attribuzione del proprio potere legislativo. In quanto tale soggetta alla valutazione del Governo in relazione alla presenza di assunti e previsioni conflittuali con la lettera costituzionale, giustificativi di eccezioni degne di impugnativa avanti la Consulta.
D'altronde, non risulterebbe affatto costituzionalmente concepibile pervenire a una così importate scelta senza passare dall'organo legislativo regionale, cui competerà l'onere di ampliare la propria competenza e il proprio impegno, nell'ambito del quale optare per una materia ovvero per un'altra e/o ambiti di materie, assumendosi in tal senso un obbligo "di risultato" non affatto trascurabile.
Così facendo, verrebbe adempiuto anche il principio democratico, rispettato dall'impegno del consesso dei rappresentanti popolari, che potrebbe tuttavia essere corroborato da una preventiva esperienza referendaria.

Una intesa da partecipare al plurale regionale
Relativamente al secondo punto, l'approfondimento diventa più complesso, anche perché potrebbe coinvolgere le modalità esternate in riferimento alla necessità di una legge regionale per concretizzare i previsti atti di iniziativa regionale di accesso alla facultas di cui all'articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Ciò in quanto la Consulta ha più volte deciso, in relazione all'attuazione regionale di quanto disposto dal diritto unionale, di sensibilizzare il legislatore statale a individuare provvedimenti normativi di facilitazione dell'adempimento, tanto da renderlo correttamente applicato. Infatti, sin da una sentenza risalente, la n. 142 del 24 luglio 1972 (pres. Chiarelli), al punto 8, la Corte costituzionale ha indicato la necessità di consentire, individuare e privilegiare «strumenti organizzatori idonei a rendere possibile la compartecipazione di più Regioni nelle deliberazioni da prendere per la gestione degli interessi comuni e per la regolamentazione dei correlativi obblighi e responsabilità». Un obiettivo strategico ritenuto, comunque, non trascurabile tanto da sollecitare la Consulta a precisare che «fino a quando non si sarà addivenuto a tale regolamentazione, non potrà prescindersi dall'intervento dello Stato, sicché per ora le esigenze delle Regioni devono ritenersi sufficientemente soddisfatte dall'obbligo della previa intesa con le medesime».
Un modello però - quella della mera concertazione assicurata dal sistema delle Conferenze - che, nel caso di specie di costituzionalizzazione delle intese, dovrebbe consentire anche il perfezionamento di leggi regionali caratterizzate dalla previsione, per due o più Regioni, di un'intesa comune, anche riferibile all'esercizio della facoltà di guadagnare competenze legislative ex articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Una occasione, insomma, per materializzare una attrazione coordinata di una o più materie, oggi di competenza esclusiva statale ovvero concorrenti, al fine di realizzare elementi di sinergia interregionale funzionali al miglioramento assoluto dell'esigibilità dei diritti riferiti alle materie sopravvenute e dell'esercizio delle loro funzioni, anche attraverso la individuazione di organi comuni. Il tutto, anche al fine di evitare contenziosi costituzionali, promossi a fronte di eclatanti differenze tra trattamenti riservati ad una o più Regioni rispetto ad altre (NT+ Enti locali & edilizia del 13 febbraio).