Urbanistica

Le opere oggetto di Cila su un manufatto abusivo «proseguono l'attività criminosa» precedente

La Cassazione conferma, anche in relazione a interventi sottoposti a semplice comunicazione, orientamento secondo il quale qualsiasi opera su un manufatto non sanato integra un nuovo reato

di Massimo Frontera

«In tema di reati edilizi, il regime della comunicazione di inizio lavori asseverata (c.i.l.a.) non è applicabile alle opere da eseguirsi su manufatti il cui originario carattere abusivo sia stato accertato con sentenza definitiva e che non risultino essere state oggetto di condono edilizio o di accertamento di conformità, poiché gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dal manufatto principale, al quale ineriscono strutturalmente». Così la Corte di Cassazione, Terza Sezione penale nella pronuncia n.18268/2023 depositata il 3 maggio scorso.

La decisione prende le mosse da una controversia sorta in Campania, a seguito di un accertamento delle forze dell'ordine su un manufatto abusivo. Il ricorso in Cassazione dell'interessato contro la sentenza della Corte d'appello di Napoli è stato giudicato inammissibile dai giudici della Terza Sezione. «Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente - ribadiscono i giudici - ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell'attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente». Proprio applicando tale principio i giudici concludono appunto che le successive opere oggetto di regolare Cila sono da considerarsi una prosecuzione dell'attività criminosa precedente relativa alla realizzazione del manufatto abusivo.

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