Fisco e contabilità

Bilaterali fra governo e Regioni per ripensare coesione e Pnrr

Fitto respinge la richiesta dei presidenti di convocare il Cipess per distribuire le quote di Fsc e attacca la «polverizzazione» delle risorse del Pnrr in centinaia di migliaia di micro-progetti

di Carmine Fotina e Gianni Trovati

Nulla da fare, almeno per ora, sulla distribuzione del Fondo sviluppo e coesione. Le Regioni si erano preparate ieri all’incontro con il ministro per il Pnrr e il Sud Raffaele Fitto costruendo una posizione unitaria fondata sulla richiesta di una convocazione a stretto giro del Cipess per distribuire i fondi sulla base delle intese già raggiunte nella scorsa legislatura.

«Non possumus», ha risposto in sostanza Fitto che è anche titolare della delega alle Politiche di coesione, perché quelle intese non reggono più alla luce del cambio di scenario prodotto da inflazione e crisi energetica, senza contare i 7 miliardi in transito verso il RepowerEu. Di qui la scelta di un’altra strada, cioè una serie di bilaterali fra il Governo e le singole Regioni per una doppia riprogrammazione: che riguarderà sia i fondi di coesione sia le risorse del Pnrr. Perché la proposta di revisione del Piano che il Governo dovrà presentare nelle prossime settimane a Bruxelles investe anche gli enti territoriali.

«C’è la condivisione della quasi totalità dei presidenti su questo percorso», ha sostenuto il ministro al termine dell’incontro in Conferenza Stato-Regioni ricordando che la revisione su cui lavora il governo investe tre filoni, rappresentati appunto da Pnrr, coesione europea e fondi nazionali Fsc. La risposta dei presidenti è più aperturista nel centrodestra, con il governatore della Liguria Toti che chiede di «dare alle Regioni il ruolo di coordinamento territoriale» nella divisione interna ai fondi di loro competenza. Più critico il centrosinistra, a partire dal presidente della Puglia Michele Emiliano e da quello della Campania Vincenzo De Luca che accusano il Governo di prendere tempo e di preparare una sorta di «scippo al Sud». È «una totale invenzione», ribatte Fitto.

Fatto sta che la contesa sul Fondo sviluppo e coesione si avvicina così a tagliare il traguardo del primo anno. Era giugno del 2022 quando il Dipartimento per le politiche di coesione (Dpc) stilò una tabella con la ripartizione di oltre 25 miliardi relativi al ciclo 2021-2027, per oltre 22 miliardi destinati alle Regioni del Sud. La delibera Cipess che doveva suggellare il riparto non è mai arrivata però, prima rinviata dal governo Draghi nei suoi ultimi tre mesi di attività, poi dal governo Meloni nei suoi primi sei mesi di esercizio. Nella distribuzione illustrata dal Dpc nella riunione del 23 giugno 2022, Campania e Sicilia con 5,6 miliardi ciascuna sono tra le Regioni del Sud le destinatarie delle quote maggiori, seguite da Puglia (4,1), Calabria (2,5), Sardegna (2,1), Abruzzo (1,2), Basilicata (850 milioni), Molise (407 milioni). Il pacchetto di fondi congelati ammonta a poco meno di un quarto dei 75,8 miliardi fissati come disponibilità per il Fondo sviluppo e coesione nel 2021-2027, una dote finita inevitabilmente nel vortice del coordinamento unico insieme a fondi Ue e fondi del Pnrr.

Fitto può fare leva sulla forza dei numeri che continuano, anche con gli ultimi aggiornamenti, a descrivere la cronica difficoltà di spesa (sia a livello centrale che a livello regionale, peraltro) che è+ ancora più evidente proprio nel caso del Fondo sviluppo e coesione. L’ultimo monitoraggio della Ragioneria dello Stato sulla programmazione 2014-2020, aggiornato a fine dicembre 2022, riporta per l’Fsc pagamenti fermi al 16,8%. Sui fondi strutturali e di investimento europei siamo invece al 60,6%.

D’altro canto, la trattativa con le Regioni rischia per forza di cose di essere inquinata da alcune modifiche normative che sono state lette come un’eccessiva forzatura verso un coordinamento accentrato. In questa chiave, ad esempio, diverse Regioni hanno criticato la modifica al Dl Pnrr-3, votata in Parlamento, che fa transitare a livello centrale, spostando in avanti la riattribuzione tra regioni, i rimborsi riconosciuti da Bruxelles a fronte di spese sostenute con risorse nazionali e rendicontate nell’ambito dei programmi cofinanziati dai fondi Ue Fesr, Fse e Fse+.

Il punto politico è però legato al fatto che la lunga attesa delle proposte governative sulla revisione del Pnrr è destinata a finire presto. E il ripensamento del Piano promette di coinvolgere profondamente anche i fondi di Regioni ed enti locali, anche per superare quella dispersione delle risorse in centinaia di migliaia di progetti (sono 178.353 quelli censiti dalla piattaforma Regis; Sole-24 Ore dell’11 maggio) oggetto fin qui di critiche velate diventate esplicite giusto ieri. «Con la polverizzazione in decine di migliaia di interventi perdiamo di vista l’obiettivo di produrre cambiamenti strutturali in determinate aree del Paese e mettiamo sotto stress anche la capacità organizzativa della Pa di reggere l’urto» dice Fitto. Parole chiare, che sembrano preparare il terreno a un confronto serrato con le amministrazioni locali

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