Fisco e contabilità

Alla cabina di regia senza il piano: su Draghi sale il pressing dei partiti

Oggi il premier darà più dettagli ma gli spazi di manovra sono limitati

di Barbara Fiammeri e Emilia Patta

Oggi ci sarà un primo esame da parte del Consiglio dei ministri. Ma per il via libera definitivo al Piano di ripresa e resilienza Mario Draghi aspetterà il passaggio parlamentare di lunedì e martedì, quando illustrerà a Camera e Senato i contenuti del documento che tra una settimana esatta sarà consegnato a Bruxelles. Ieri a Palazzo Chigi il premier ha già tenuto un vertice per fare il punto con quasi tutto il governo su quello che ha definito un «progetto ambizioso». Oltre al titolare dell’Economia Daniele Franco e ai ministri maggiormente coinvolti (Vittorio Colao, Roberto Cingolani, Enrico Giovannini) c’erano infatti anche i capi delegazione della maggioranza ovvero Giancalo Giorgetti (Lega), Dario Franceschini (Pd), Stefano Patuanelli (M5s), Mariastella Gelmini (Fi), Elena Bonetti (Iv) e Roberto Speranza (Leu). Un coinvolgimento che dovrebbe contribuire a stemperare il nervosismo che trapela da tutte le forze politiche. Il riserbo è totale. Il testo non è stato ancora consegnato ai ministri. «È ancora in corso l’interlocuzione con Bruxelles e bisogna attendere la risposta del Parlamento», spiegano a Palazzo Chigi. Dalle schede messe a disposizione (anticipate ieri dal Sole 24) emerge solo la ripartizione delle risorse, una parte rilevante delle quali è destinata alla transizione ambientale. «Circa 70 miliardi di euro andranno in investimenti in infrastrutture green, economia circolare e mobilità sostenibile», ha confermato ieri Draghi intervenendo al Leaders Summit on Climate.

Oggi sul tavolo del Cdm il premier fornirà maggiori dettagli ma è chiaro che gli spazi di manovra sono ristrettissimi. Lo sanno anche i partiti. Il M5s è già sul piede di guerra. Il prolungamento del superbonus 110% al 2023 è - ripetono - una conditio sine qua non per il via libera. Ma il ministro dell’Economia ieri nel corso del vertice a Palazzo Chigi ha confermato che la misura non può essere inserita nel Recovery e sarà finanziata dal Fondo aggiuntivo ma, sembrerebbe, solo fino al 2022. Malumori anche nella Lega, visto che finora lo stesso Matteo Salvini è rimasto all’oscuro: ieri il segretario ha avuto un faccia a faccia con Giancarlo Giorgetti e altri esponenti del Carroccio al governo per capire meglio dove finiranno le risorse del Pnrr e ha fatto sapere che intende aggiungere alcuni progetti raccogliendo «richieste dai territori».

Ma forse la novità più forte di queste ore è nel giudizio in chiaroscuro dei partiti più vicini a Draghi: il Pd, soprattutto, ma anche Italia viva. Se il partito di Enrico Letta rivendica i miglioramenti rispetto al testo messo a punto dal Conte 2, a partire dalla crescita degli investimenti al Sud e dei fondi per istruzione e ricerca, sottolinea al contempo la necessità di rendere davvero prioritaria la questione dell’occupazione giovanile e femminile: la richiesta, fatta dallo stesso Letta durante le consultazioni sul Pnrr a Palazzo Chigi, è quella di «prevedere che le imprese che partecipano ai singoli progetti del Pnrr si caratterizzino per un profilo occupazionale, ivi inclusi eventuali contratti di formazione o specializzazione, che superi determinate soglie di assunzioni per giovani e donne. Si dovrebbe inoltre aggiungere una strategia di public procurement orientata a promuovere l’occupazione giovanile e femminile con premialità per le imprese che adottano misure e politiche a supporto per l’inserimento lavorativo e la promozione delle carriere», come ricorda il responsabile Recovery Antonio Nicita. Non solo. Durante il vertice di ieri a Palazzo Chigi il Pd ha chiesto anche un chiarimento sulla strategia per la rete unica. Il Pnrr stanzia infatti ben 5,3 miliardi tra fisso e 5G, ma non è chiaro quali saranno i meccanismi di assegnazione delle risorse tra gli operatori.

La renziana Italia viva, da parte sua, tende naturalmente a mettere in evidenza la discontinuità con il Conte 2: dalla governance al focus sulle riforme abilitanti. Ma non a caso rilancia la vexata quaestio del Mes: «Sulla sanità ci piacerebbe vedere una fonte di finanziamento in più: il Mes, il cui costo è zero contro l’attuale 0,7% di previsione media di Btp decennali nel corso del 2021», dice Luigi Marattin. Di contro è Leu, il partito più “contiano” assieme al M5s, a notare con Federico Fornaro che «l’impianto complessivo del Pnrr appare simile a quello predisposto dal governo Conte». E siamo solo all’inizio.

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