Il CommentoPersonale

La formazione del personale non è un’auto blu da tagliare

di Francesco Verbaro

Se la Pa dedica grande importanza al reclutamento di nuove competenze, non può dimenticare gli oltre tre milioni di dipendenti oggi in servizio. I cambiamenti in atto portano a considerare il personale «capitale umano», investendo per mantenerlo «competente». Per questo bisogna prima di tutto imparare a conoscerlo, verificando periodicamente il grado di competenze in possesso per prevenire e colmare i gap, fisiologici in vite lavorative lunghe, tra quelle richieste e quelle presenti. Da qui la responsabilità dei singoli dirigenti, che sono i primi datori di lavoro e possono individuare i fabbisogni di reskilling (vedi autisti, addetti di segreteria, protocollo o archivio, vecchi amministrativi, eccetera.

La valorizzazione del personale è un’attività centrale degli uffici del personale e dei singoli dirigenti. L’occasione del dibattitto che si è aperto sul reclutamento va colta per puntare a un piano di mappatura delle competenze di settore e trasversali e per avviare i necessari percorsi di formazione. Il lavoro agile, la spinta alla digitalizzazione, la semplificazione e il lavoro per obiettivi costituiranno una sfida per i dirigenti e per il personale. Il rischio è l’esclusione dai processi di lavoro di migliaia di dipendenti, sostanzialmente eccedenti, perché non qualificati e pertanto accantonati. È una delle grandi emergenze che dovrà affrontare la Pa nei prossimi mesi. Il lavoro agile ha mostrato gli importanti divari in termini di competenze, digitali e non solo, e la possibilità di fare le stesse cose con meno personale. La consueta noncuranza non ha permesso di osservare il livello di coinvolgimento nei processi e i fenomeni di marginalizzazione che si stanno verificando e che crcesceranno ancora. È interessante notare come, mentre nel privato si parla quotidianamente di reskilling e upskilling, nel pubblico questi temi sono sconosciuti, anche perchè il rischio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cambio dell’organizzazione) o soggettivo (scarso rendimento) nella Pa è pari a zero. È un grave errore. Non si avverte l’esigenza, neanche teorica, di rendere produttivo il lavoratore. E sarebbe assurdo dover ricorrere allo spauracchio dell’eccedenza e della ricollocazione per avere la giusta attenzione sulla formazione degli adulti anche nel settore pubblico.

Negli ultimi anni abbiamo dovuto applicare norme sulla spending review, che hanno riguardato in maniera miope anche le spese per la formazione del personale. Una spesa considerata al pari di quella per le famose “auto blu”, cioè uno spreco. A questo si aggiungano scelte discutibili, come l’abolizione dell'obbligo di predisporre i piani triennali della formazione con il Dpr 70/2013 o la chiusura di alcune scuole della Pa, che dovevano essere invece rafforzate. È evidente che anche nel pubblico la parola chiave per il rilancio dovrà essere «formazione». Una formazione «nuova» che veda come docenti più manager e funzionari esperti e meno universitari e magistrati.

Il Pnrr pone grande attenzione alla formazione del personale della Pa, sia quando parla della trasformazione digitale e delle tecnologie che dovranno essere adottate sia quando parla della riforma della Pa. Questo diritto-dovere non può quindi esaurirsi in un articolo del contratto nazionale, ma richiede investimenti in formazione, oggi erogabile attraverso diverse modalità e metodologie didattiche. Una formazione certificata rispetto alle competenze e conoscenze acquisite (attraverso digital badge) che potrà certamente qualificare i percorsi di carriera ma soprattutto fondare la «nuova amministrazione» sul capitale umano e non sulle leggi.