Fisco e contabilità

Agli enti in dissesto manca una via verso il risanamento

Piani di riequilibrio vietati alle amministrazioni non uscite dal default

di Maria Teresa Nardo e Stefano Pozzoli

Il fallimento degli strumenti previsti dal legislatore per la gestione delle crisi finanziarie degli enti locali è certificato dalle numerose delibere della Corte dei conti che bocciano i piani di riequilibrio e il ricorso al predissesto (articoli 243-bis e 256, comma 2 del Tuel) da parte di enti che non hanno ancora chiuso il dissesto precedente (articoli 244 e seguenti del Tuel).

Il dissesto è un ormai vecchio istituto (Dl 66/1989), radicalmente cambiato a seguito della riforma costituzionale del 2001, il predissesto risale invece al 2012 (Dl 174/2012). Le due misure di risanamento finanziario, però, si intrecciano per effetto dai numerosi interventi del legislatore sull’impianto originario e risultano oggi non armonizzati con la riforma della contabilità, che ha introdotto una nuova gestione dei fondi rischi ai fini degli equilibri di bilancio (Corte dei conti, sezione Autonomie, delibera 7/2020).

La Corte dei conti, sezione di controllo per la Lombardia (delibera 43/2022) articola la disciplina della criticità finanziaria del Tuel in «tre distinti momenti: i) gli indicatori deficitari, ii) il riequilibrio finanziario pluriennale, iii) il dissesto finanziario».

Il primo momento ha un valore predittivo e correttivo (l’allarme scatta quando il numero degli indicatori critici supera la metà); gli altri hanno invece una funzione correttiva, commisurata alla gravità della situazione dell’ente. La sezione lombarda delinea pertanto un principio di gradualità delle crisi che può andare dal primo sintomo di deficitarietà fino al dissesto.

La normativa (articolo 268-bis, comma 2 del Tuel) in realtà prevede anche l’attivazione di una procedura di prosecuzione del dissesto da parte di una commissione speciale. Secondo la Corte, ciò è il risultato di una stratificazione normativa che ha visto l’inserimento, tra la disciplina degli enti deficitari e il dissesto, proprio della procedura di riequilibrio pluriennale. Ne deriva il divieto per gli enti già in dissesto di fare ricorso al predissesto, poiché un ente che si trova già nella situazione del dissesto non può ricorrere a un istituto intermedio.

Analoga posizione è stata assunta dalle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, con la sentenza n. 20/2022/EL, ove si è negata l'omologazione del Piano per «l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 256 co 12 del Tuel». Il Comune in questione aveva dichiarato nel 2018 la procedura di dissesto e nel 2021 aveva approvato il Piano in base all'articolo 256, comma 12, del Tuel sulla base di un parere che la Corte aveva rilasciato loro nel 2020 sulla inammissibilità di un secondo dissesto: «il comune che ha deliberato lo stato di dissesto (…), non può deliberare una seconda dichiarazione di dissesto finanziario senza aver chiuso la prima procedura. Ricorrendone tutti i presupposti, (…), è invece possibile ricorrere alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale» (delibera n. 184/2020/PAR).

L'inammissibilità del piano di riequilibrio quando vi è il ricostituirsi di uno squilibrio della finanza dell'ente in dissesto determinatosi successivamente alla approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato è stata prevista anche dalla Corte dei conti Sezione Controllo per la Campania (delinbera n. 30/2022/SRCCAM).

In sostanza, volendo estremizzare, siamo di fronte a un paradosso perché, successivamente ad un dissesto che non risolve la crisi non è possibile seguire né un secondo dissesto né tanto meno un riequilibrio pluriennale.

Se è così, però, quale via può seguire un ente che non riesce a ripristinare gli equilibri negli anni del dissesto? È chiaro che si rende necessario prevedere nuovi ed ulteriori strumenti di risanamento.

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