Fisco e contabilità

Debito giù a 147%, inflazione a 5,8 - Il Pil punta al 3,1%, deficit al 5,6

La crescita tendenziale rallenta al +2,9%, due decimali di spinta attesi dai nuovi sostegni entro aprile

di Marco Rogari e Gianni Trovati

Il governo punta a dare un’altra piccola spinta all’economia frenata dalla guerra in Ucraina, in attesa dell’intervento europeo. E lo fa senza alzare l’obiettivo di deficit grazie al traino arrivato dal 2021 e all’aiuto contabile dell’inflazione: che contribuisce anche a spingere in basso il rapporto fra debito e Pil a ritmi quasi invariati rispetto ai piani pre-bellici.

I numeri chiave del quadro programmatico nel Def approvato ieri dal consiglio dei ministri confermano che la corsa della crescita inciampa pesantemente sulle ricadute economiche dell’invasione russa in Ucraina, con un primo trimestre dell’anno che si chiude con un Pil in arretramento dello 0,5%. Senza nuovi interventi la dinamica 2022 si fermerebbe al 2,9%, offrendo solo sei decimali aggiuntivi al +2,3% già acquisito con il rimbalzone del 2021. Entro la fine del mese, con il Def approvato dal Parlamento, un nuovo decreto da 5 miliardi proverà a limitare i danni con un effetto espansivo da due decimali che porta l’obiettivo di crescita al 3,1 per cento.

È sempre l’eredità del 2021, insieme all’effetto dell’inflazione che gonfiando il Pil nominale riduce il peso contabile di deficit e debito, a permettere tutto questo senza lo scostamento che pure i partiti della maggioranza hanno quasi coralmente chiesto a più riprese. Perché lasciando tutto così com’è il deficit di quest’anno scenderebbe al 5,1%, mezzo punto sotto il previsto. Su questa base il governo può programmare le nuove misure senza ritoccare l’obiettivo del 5,6%.per il 2022 e la discesa ulteriore nei prossimi anni fino al 2,8% messo in calendario per il 2025. Ma come accade ormai abitualmente in questi anni complicati tutti i numeri sono appesi ai forti rischi al ribasso legati alle tante variabili in gioco, che nel Def si traducono addirittura in un doppio scenario avverso. Il primo prevede parziali insuccessi nei tentativi di diversificare le fonti dell’energia, che si tradurrebbe in una fiammata inflattiva ulteriore tale da azzerare la crescita effettiva di quest’anno riducendola al 2,3% già acquisito dal 2021 e schiacciando il tendenziale 2023 al +1,9% contro il +2,3% dello scenario base. Ma il colpo sarebbe ancora peggiore con uno stop secco all’importazione di gas russo che nelle stime Mef porterebbe il costo dell’elettricità al livello stellare di 379 euro /MHw. La conseguenza sarebbe una recessione di fatto, con una crescita tendenziale minimizzata al 2,1% quest’anno (quindi sotto il 2,3% già acquisito) e all’1,2% il prossimo.

Le stesse incognite coinvolgono le prospettive del debito, che nel programma messo a punto da Mef e Palazzo Chigi offre le notizie migliori. Confermando con variazioni marginali il ritmo di discesa in rapporto al Pil disegnato nel programma dello scorso ottobre, che partiva però da livelli decisamente più alti. Nel nuovo piano l’indicatore scende dal 150,8% del 2021 al 147% di quest’anno (3,8 punti in meno invece dei 4,1 ipotizzati a ottobre), per poi planare fino al 141,4% del 2025, ultimo anno coperto dal Def. Una traiettoria di questo tipo permette al governo di confermare l’obiettivo cardine sul piano internazionale, quello del ritorno ai livelli pre-crisi entro il 2030. I numeri confermano insomma che uno scostamento di qualche decimale non avrebbe cancellato la discesa del debito: ma avrebbe rischiato di allarmare i mercati dove anche ieri spread (167) e rendimento del BTp decennale (2,32%) sono andati in salita.

Anche in questo caso il fieno messo in cascina l’anno scorso con la crescita extra e le sue ricadute benefiche sulla cassa si rivela decisivo. Ma l’alleato cruciale è rappresentato dall’inflazione, che con il tasso del 5,8% previsto per il 2022 abbandona il ruolo marginale giocato negli ultimi anni e aiuta la discesa del debito molto più di quanto minacci la risalita degli interessi. Perché mentre la crescita reale scende dell’1,6% rispetto alle previsioni della Nadef, quella nominale perde solo quattro decimali passando dal +6,4 al +6%. La spesa per interessi si mantiene invece al 3,5% del Pil, anche se manca la discesa prevista al 2,9% per l’effetto combinato di riduzione della crescita e spinta al rialzo per la chiusura della fase pandemica in Bce e per i titoli indicizzati. Per il debito questo dare-avere contabile si chiude in positivo, con un effetto «palla di neve» (rapporto fra crescita nominale e costo medio del debito) che da solo taglia il debito Pil di 5,4 punti compensando ampiamente il deficit primario.

Tutto questo però da solo ovviamente non basta. Al punto che il tendenziale per esempio non tiene conto delle spese obbligatorie per i rinnovi contrattuali nel pubblico impiego e per le missioni militari. Ma non è una dimenticanza: per finanziare queste voci è prevista una «revisione della spesa corrente» che avrà l’obiettivo di produrre «risparmi crescenti nel tempo».

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