Fisco e contabilità

Giorgetti: i bonus sforano di 37,8 miliardi, ora cambiare

Il ministro dell’Economia conferma: «Il Pnrr non si può fare nei tempi previsti». Incognita sui saldi dagli incentivi edilizi concepiti senza tetti di spesa

di Gianni Trovati

Con le regole attuali il Pnrr «non si riesce a fare nei tempi previsti», a causa di un aumento dei costi che oggi non può trovare compensazioni ulteriori nei conti pubblici. Conti che rischiano grosso se non si rimette mano a un Superbonus gonfiato ormai al punto tale da produrre «uno scostamento complessivo da 37,8 miliardi nell’intero periodo di previsione» perché nel 2023-26 produce costi «da gli 8 e i 10 miliardi per ciascun anno».

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si presenta di prima mattina davanti alle commissioni speciali di Camera e Senato per la sua prima audizione parlamentare da titolare dei conti italiani. Lo fa «con non poca emozione», spiega; ma anche con molta nettezza, soprattutto nel capitolo cruciale su edilizia e appalti da cui nei fatti dipende buona parte delle sorti della finanza pubblica prospettate dalla Nadef e quindi degli spazi per le altre misure. Mentre il voto parlamentare allo scostamento spiana la strada al Dl Aiuti-4 atteso oggi in consiglio dei ministri, in cui dovrebbe trovare posto anche l’aumento a 3mila euro della detassazione dei fringe benefit.

Sul Pnrr l’impostazione è secca: come anticipato ieri su Nt+ Enti locali & edilizia l’idea di replicare la strategia portata avanti quest’anno, con i fondi pubblici a compensazione degli extracosti degli appalti, è accantonata. Perché le obiezioni al Pnrr sono più radicali: «Urge una modifica del quadro normativo», sostiene Giorgetti, e una discussione europea «che ci permetterebbe non di rivedere o rinnegare, ma di rendere realistico e implementabile il Piano». Ma l’esame sarà anche italiano, dopo che tutti i ministeri titolari delle misure Pnrr sono stati chiamati a riesaminare i loro progetti per capire quali sono davvero strategici e realizzabili, e quali no. Dall’esclusione di questi ultimi, è l’idea, potrebbero arrivare le risorse che servono per coprire i costi aggiuntivi degli investimenti da portare a termine davvero.

La questione è molto spinosa anche sul piano comunitario. Ma lo stato dei conti pubblici conferma nell’ottica del governo che l’alternativa di tornare a puntellare gli appalti con nuovi fondi di compensazione è impraticabile. L’incognita sui saldi si chiama Superbonus: e il ministro la quantifica nei 37,8 miliardi di scostamento prodotti dal fatto che senza un tetto a priori gli sconti fiscali riconosciuti hanno travolto gli stanziamenti.

Nell’analisi di Giorgetti, in linea con quella di Draghi e Franco che però dovevano fare i conti con i Cinquestelle nel ruolo di primi azionisti della loro maggioranza, il problema finanziario si somma a quello sull’equità di una misura non esattamente progressiva sul piano delle ricadute economiche e sociali. La manovra che il governo si impegna a presentare entro le prossime 2-3 settimane indicherà quindi la via d’uscita dal Superbonus attuale. La revisione, «doverosa» secondo il segretario della Lega Matteo Salvini che sul punto fa da sponda piena al “suo” ministro, sarà portata avanti «in modo selettivo», assicura Giorgetti, e «con un’adeguata fase transitoria per non ingarbugliare ulteriormente la situazione». L’ipotesi parte da un abbassamento dello sconto al 90% con una riapertura per le villette utilizzate come prima casa da famiglie sotto una certa soglia di reddito. Ma l’esame è a tutto campo sul sistema degli incentivi e sul meccanismo di cessione dei crediti che il titolare del Mef si limita a etichettare come «grandissimo problema» impossibile da risolvere obbligando «realtà private a fare cose che non ritengono e non possono fare». Un modo, questo, anche per «smentire categoricamente» ricostruzioni su telefonate ministeriali di pressione a Poste.

La revisione dei bonus, accompagnata dall’idea di un’incentivo per l’edilizia pubblica da finanziare con RepowerEu anch’esso da negoziare in Europa, è uno snodo nella ricerca delle coperture aggiuntive ai 21 miliardi di deficit che insieme alla spending saranno destinati all’energia, e che serviranno anche a finanziare un sistema di rateizzazione delle bollette. Della partita è poi il ritorno sugli extraprofitti per un intervento «più incisivo ed effettivo» del tentativo di quest’anno, destinato a raccogliere meno della metà dei 10,5 miliardi previsti (il saldo scade al 30 novembre).

Dalla «manutenzione del reddito di cittadinanza» potrà arrivare «qualche economia» (si parla di circa un miliardo) da destinare a Flat Tax o pensioni, ma a differenza delle parole su Pnrr e 110% qui la cautela domina. Perché la spesa per pensioni già è in volo a 355,4 miliardi nel 2025, cioè 58,1 miliardi in più rispetto a quest’anno; così come sulla Flat Tax si lavora a un ampliamento timido che nella ricostruzione del ministro si limita alla tassa piatta del 15% da applicare per un anno «a una quota dell’incremento di reddito 2022 rispetto al maggiore dei tre anni precedenti». Anche perché nelle ipotesi di copertura emerse fin qui si resta lontani dai 30-35 miliardi di manovra ipotizzati nelle scorse settimane; e per completare il conto occorre definire la declinazione reale della «tregua fiscale» richiamata anche ieri dal ministro.

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