Personale

Contratto, la partita di domani vale fino a 3mila euro in busta a Natale

Riunione decisiva all’Aran. Senza intesa slittano al 2023 aumenti e arretrati

di Gianni Trovati

O la va o la spacca. Le sorti della busta paga natalizia di 430mila dipendenti di regioni ed enti locali si giocano domani nel caldo torrido dell’agosto romano. Dopo mesi di trattative, il confronto fra Aran e sindacati sul nuovo contratto nazionale arriva alla fase decisiva: o domani si verificano le condizioni per un’intesa in grado di arrivare alla firma nei giorni successivi, oppure il tutto è rinviato a settembre. Nel primo caso, gli aumenti fra 56 e 102 euro sul tabellare, e soprattutto gli arretrati fra 1.600 e 3mila euro una tantum a seconda dell’inquadramento di ciascun dipendente, arriverebbero verosimilmente nell’ultima busta paga dell’anno; o in un cedolino extra sempre a dicembre, seguendo lo stesso meccanismo già utilizzato per i dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici. Nel secondo, invece, bisognerebbe aspettare l’anno prossimo, perché come insegna proprio l’esperienza delle Funzioni centrali la strada che porta i contratti dalla pre-intesa alla firma finale e poi all’entrata in vigore non è breve. A determinare la gobba degli arretrati, calcolabili in oltre due miliardi di euro a livello di comparto, è naturalmente la tempistica del rinnovo, che anche per gli enti locali riguarda il 2019/21.

Al bivio, come accennato, si arriva dopo mesi di trattative che si sono incagliate sulla riforma degli ordinamenti; un piccolo paradosso, dal momento che il contratto delle Funzioni locali si presenta decisamente meno innovativo (Nt+ Enti locali & edilizia del 18 luglio) rispetto alle intese già firmate per Funzioni centrali e sanità. Ma l’ordinamento di regioni ed enti locali è anche il più frastagliato, per l’ampiezza delle funzioni comunali e quindi delle figure professionali, in un ginepraio di regole dove l’inciampo è facile.

L’inciampo infatti è arrivato sugli insegnanti delle scuole comunali. Il problema riguarda sia chi è già in servizio sia i futuri assunti. L’idea elaborata nell’ultima bozza del contratto prevede la collocazione nella terza categoria (la «C»), con la possibilità di salire nella quarta per chi viene riconosciuto come educatore, docente o insegnante «senior», figura che entrerebbe in vigore solo più tardi (l’ipotesi è da settembre 2023). La questione però spacca i sindacati. In particolare Cgil e Uil si sono presentati all’ultima riunione con la richiesta (costosa) di un inserimento automatico in categoria D dei nuovi assunti, e di un differenziale per far raggiungere lo stesso livello retributivo agli insegnanti che oggi sono in categoria C. Ma in queste settimane quasi tutti i sindacati hanno elaborato idee alternative, in un traffico di ipotesi, deroghe e moratorie. Di qui l’aut aut: o si raggiunge un’intesa, meglio se larga ma per la firma è sufficiente il 51% della rappresentatività, oppure il contratto è rimandato all’autunno.

Il punto è rilevante nel merito. Ma anche nelle conseguenze che vedono 430mila persone appese a uno snodo che riguarda circa il 5% dei dipendenti del comparto. Per gli altri cambia poco, perché l’area delle «elevate professionalità», che rappresenta la novità più rilevante di questa tornata contrattuale, negli enti territoriali ricalca il sistema già in vigore, mentre i «differenziali stipendiali» sostituiscono il meccanismo attuale delle progressioni orizzontali. L’incognita è dunque concentrata quasi esclusivamente sui tempi: se il puzzle non si ricomporrà nelle prossime 24-48 ore, per quest’anno le buste paga resteranno inalterate in attesa di una soluzione in vigore solo dal 2023.

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