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Inquinamento, poteri ai Comuni ma va rispettata la procedura Ue

Inquinamento, poteri ai Comuni ma va rispettata la procedura Ue

di Guglielmo Saporito

C’è ancora spazio per caminetti e stufe a pellet, se i divieti posti da regolamenti locali sulla qualità dell’aria contrastano con procedure commerciali comunitarie. Questo è il principio posto dal Consiglio di Stato con la sentenza 9669 del 4 novembre 2022, decidendo una vicenda nata a Milano, ma rilevante sull’intero territorio nazionale.

Il capoluogo lombardo ha adottato un regolamento per la qualità dell’aria (delibera 56 del novembre 2020), vietando di installare e utilizzare (dall’ottobre 2022) generatori di calore per impianti termici civili e potenza inferiore a 3 MW, nonché apparecchi di riscaldamento localizzato alimentati a gasolio, kerosene e altri distillati di petrolio. Il divieto, dapprima sospeso, è ora annullato su ricorso di associazioni di categoria (Assopetroli ed Assoenergia), cui si sono contrapposti il Comune e Legambiente.

La pronuncia ammette, tuttavia, che il Comune possa disciplinare la qualità dell’aria, vietando taluni impianti. I giudici amministrativi riconoscono infatti agli enti locali il potere di adottare atti generali (regolamenti) che tendano a risolvere problemi di inquinamento, in particolare in Pianura Padana, dove fattori orografici generano un accumulo delle concentrazioni inquinanti. Questa situazione, definita dal Comune di Milano come «inquinamento di prossimità», pur rappresentando una criticità comune a una vasta area, è arginata a livello locale con ordinanze sindacali, rivelatesi tuttavia non sufficientemente efficaci avendo limiti di durata.

I poteri dei Comuni

Ora, i giudici amministrativi riconoscono che l’inquinamento di prossimità genera un degrado ambientale e pregiudica la vivibilità urbana; ciò autorizza quindi i Comuni a intervenire per attuare obblighi comunitari (direttiva 2008/ 05), utilizzando i poteri previsti dagli articoli 7 e 13 del decreto legislativo 267 / 2000 (Testo unico enti locali). Ciò significa che i singoli comuni potranno intervenire, incidendo selettivamente su una serie di fattori ben individuati, diversi dal traffico veicolare: possono ad esempio limitare il fumo all’aperto, la combustione di biomasse legnose, l’utilizzo di fuochi d’artificio, di macchine mobili non stradali e in generale le attività produttive e commerciali, ritenute responsabili, ciascuno per il proprio contributo, del superamento dei limiti massimi di concentrazione degli inquinanti atmosferici PM 10, PM 2.5e NO2.

Da tempo l’Italia è stata condannata dall’Unione europea per tali violazioni (sentenza C-68 / 11 del 19 dicembre 2012), con successive procedure di infrazione. Ora diventa possibile per i Comuni migliorare la situazione ambientale superando specifiche ordinanze e adottando regolamenti a tempo indeterminato, senza conflitti con la normativa statale (articolo 117 Costituzione).

Le regole Ue

Ma se i Comuni possono intervenire, occorre tuttavia che si rispettino le procedure previste dalla stessa Unione europea in tema di produzione e commercio di impianti. Ciò genera una contrapposizione tra esigenze ambientali e norme sulla produzione, con temporanea prevalenza delle seconde perché occorre (direttiva comunitaria 2015/1535) comunicare alla Commissione europea ogni progetto di “regola tecnica” che possa introdurre restrizioni quantitative alla fabbricazione e commercializzazione di beni. Se quindi la normativa di uno Stato incida su prodotti industriali, è necessario informare preventivamente la Commissione dell’Unione europea affinché ne siano informati gli altri Stati membri.

Appunto questa procedura non è stata rispettata dal Comune di Milano che, con il regolamento sulla qualità dell’aria, ha introdotto una regola tecnica che vieta particolari impianti termici civili (generatori di calore e impianti di riscaldamento localizzato), senza coinvolgere la Commissione europea. Di qui l’annullamento disposto dal Consiglio di Stato.

Anche un’esigenza primaria, come la tutela del qualità dell’aria, deve quindi sottostare alle regole della produzione, tutte le volte che una “regola tecnica” locale imponga una restrizione valida per una “parte importante dello Stato”. Il Consiglio di Stato affida poi alla stessa Commissione dell’Unione europea il giudizio della rilevanza delle norme del capoluogo lombardo sull’intero territorio nazionale, riconoscendo implicitamente che lo sforzo ambientale di quell’amministrazione può condizionare altre scelte dell’intero territorio padano. La sentenza annulla quindi il regolamento locale, ma sottolinea la possibilità di una nuova adozione, con il preventivo coinvolgimento degli organismi comunitari.

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