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Asili nido: l’emergenza penalizza ancora il Sud - Caccia ai fondi del Pnrr

La Nadef rilancia: nel 2026 copertura al 33% con i 4,6 miliardi del Piano

di Eugenio Bruno e Valentina Melis

Anche sul fronte degli asili nido il conto più salato della pandemia rischiano di pagarlo gli ultimi. Ovvero i territori del Sud dove l’offerta di servizi della prima infanzia è storicamente più basso. Come rivela l’ultimo rapporto sulla sicurezza a scuola di Cittadinanzattiva, che dedica un focus ai nidi, i Comuni, nel 2021, hanno mantenuto il livello pre Covid nel 75% delle strutture. Tra le eccezioni, emergono la Campania, con il 38% (e un 9% di casi in cui il servizio è stato sospeso) e la Puglia, con il 45 per cento. In queste due Regioni, la disponibilità di posti rispetto alla popolazione dei bambini da 0 a 3 anni, è già molto lontana dalla soglia del 33% indicata come target dalla Ue (per il 2010) e rilanciato dalla Nadef con orizzonte il 2026: in Campania la copertura è del 10,4%, in Puglia è del 18,9.

Dal canto loro Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Liguria hanno garantito invece il servizio con gli orari consueti nel 100% dei casi, seguite da Umbria, Trentino-Alto Adige, Piemonte e Lombardia. Nelle altre Regioni, i livelli sono rimasti inviariati in oltre il 50% delle strutture. Quanto agli orari di copertura, nel 76% dei nidi è stato mantenuto quello del periodo pre-pandemia. L’abbinata mattina -pomeriggio è stata assicurata però nell’89% delle strutture. Nell’11% (soprattutto in Campania, Puglia e Sicilia) ci si è limitati alla fascia antimeridiana. L’indagine di Cittadinanzattiva si riferisce a 1.305 nidi, gestiti direttamente dai Comuni, o a gestione indiretta, o privati in convenzione.

Effetto Covid

Prima della pandemia, i nidi e i servizi educativi per la prima infanzia censiti dall’Istat erano 13.834, per il 65% privati e il restante 35% pubblici, o a titolarità comunale. I posti disponibili erano 361.318 (circa la metà nel pubblico), e raggiungevano il 26,9% dei bambini sotto i 3 anni, con forti divari territoriali (si veda il grafico a lato). In alcune regioni, come la Campania, il servizio è stato ridotto a causa dei lunghi periodi di chiusura delle scuole dovute al Covid; in altre la riduzione dei bambini frequentanti ha determinato tagli all’orario di apertura, riduzione delle sezioni, ridimensionamento delle mense. In più, ci sono stati i costi di riadattamento organizzativo delle strutture, di formazione del personale, di sanificazione.

I nodi da sciogliere

Non tutti i problemi sono stati risolti. «Le ordinanze regionali che hanno disposto la chiusura di tutte le scuole, compresi i nidi, per lunghi periodi del 2020 - fa notare Annamaria Palmieri, assessora alla scuola del Comune di Napoli (che ha 45 nidi a gestione diretta e 16 a gestione indiretta) - hanno determinato, con la riduzione della frequenza, una forte diminuzione dei servizi a domanda, ovvero il tempo pieno e il servizio mensa. Un asilo non è stato proprio riaperto, perché non c’erano più bambini frequentanti».

Mette l’accento sui costi a carico dei Comuni Paola Romano, assessora alla scuola del Comune di Bari (11 nidi e due centri ludici comunali): «Il personale dei nidi è altamente qualificato e il costo, per quelli comunali, è interamente a carico dell’ente».

Tra aiuti regionali e statali (ad esempio per ammortizzatori sociali), i contributi sono arrivati anche ai privati, come nota Paolo Uniti, direttore di Assonidi (che rappresenta 650 nidi, soprattutto in Lombardia, Veneto e Piemonte): «Anche se in ritardo - spiega - abbiamo ricevuto i fondi regionali e statali. I servizi erogati sono tornati quasi ai livelli pre-Covid».

A sua volta il presidente regionale del Lazio di Aninsei Confindustria, Goffredo Sepiacci, mette l’accento sugli extra-costi legati al green pass: «Il Comune di Roma, ma anche altri comuni, stanno chiedendo ai gestori privati del servizio pubblico di attivare i servizi di controllo del green pass». Per farlo - aggiunge - bisognerà assumere una persona con un contratto part-time di 25 ore. «Uno stipendio in più da pagare», chiosa. Senza un indennizzo, ammonisce, «si rischia di veder lievitare le rette per le famiglie.

Quanto ai 4,6 miliardi di fondi Ue del Pnrr destinati alla costruzione di nuovi nidi e scuole dell’infanzia da qui al 2026, la coordinatrice scuola di Cittadinanzattiva Adriana Bizzarri fa notare che «non basta costruire nuovi nidi: le famiglie devono essere messe in condizione di usarli. Con una retta media di 303 euro al mese, senza un sostegno economico, si rischia di costruire strutture che resteranno inutilizzate».

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