Fisco e contabilità

Anche la struttura geriatrica paga l'Imu salvo che dimostri la natura non commerciale

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di Enrico Pintaldi (*) - Rubrica a cura di Anutel

Anche le strutture geriatriche devono pagare l'Imu. Non basta dichiarare che l'attività svolta abbia caratteri di solidarietà sociale né precisare che parte della retta sia versata da una pubblica amministrazione. La commissione tributaria provinciale di Milano respinge il ricorso dell'azienda pubblica per i servizi alla persona (Asp) che ha impugnato gli atti di accertamento del Comune per infedele dichiarazione (anni 2012 e 2013). I giudici (presidente Nocerino, relatore Salvo), nella sentenza n. 904/2020, depositata lo scorso 26 maggio, applicano integralmente l'impostazione e i principi statuiti dalla sezione tributaria della Corte di cassazione (Sentenza n. 17256, depositata il 27 giugno 2019), «non essendovi motivi di discostarsi». L'esenzione dell'imposta è consentita soltanto a condizione che i servizi offerti siano a titolo gratuito oppure dietro pagamento di corrispettivi simbolici o di entità tale da non garantire la remunerazione delle risorse impiegate.

Andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda processuale. La ricorrente sostiene che l'ente (il comune di Vimodrone) ha erroneamente utilizzato l'intera superficie dell'istituto, dovendo invece escludere dalla base di calcolo, da un lato le aree destinate all'erogazione dei servizi di riabilitazione considerato che il ricovero e/o le prestazioni sono totalmente gratuite per il paziente, poiché posti interamente a carico del servizio sanitario regionale e, dall'altro, le aree destinate alla Rsa, considerato che il contributo richiesto all'ospite copre solo il 39,49% dei costi sostenuti dall'azienda per l'erogazione del servizio. Precisa, infine, che l'unica area eventualmente assoggettabile a Imu è quella destinata al bar, pari a 222 mq su un totale di 29.000 mq e, conclude, ribadendo che l'attività in generale, parte integrante del servizio sanitario nazionale sia esente dall'Imu al pari degli ospedali pubblici.

Il comune di Vimodrone replica precisando che oggetto del contendere è la sussistenza o meno in capo all'azienda del diritto a beneficiare dell'agevolazione, secondo le norme di legge e gli indirizzi applicativi forniti dalla giurisprudenza, di legittimità e comunitaria, ai quali il Comune, in ragione della funzione pubblica esercitata, deve rigorosamente attenersi. L'articolo 91-bis del Dl 1/2012 convertito dalla legge 27/2012, ha previsto, solo a decorrere dall'anno d'imposta 2013, che l'esenzione si applichi anche agli immobili dove si svolge un attività mista (commerciale e non) in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile, quale risulta da apposita dichiarazione, richiedendosi, invece, per il 2012, come già in regime Ici, la destinazione esclusiva degli immobili alle attività esenti. Ne consegue che, nei casi quali quelli di specie, in cui nell'immobile si svolge anche un attività commerciale: - per l'anno 2012, l'esenzione certamente non spetta per espressa disposizione normativa; -per l'anno 2013, il diritto all'eventuale parziale esenzione di cui al comma 3 del citato articolo 91-bis del Dl 1/2012 non può essere esercitato fintanto che il contribuente non distingue puntualmente le superfici utilizzate per lo svolgimento di attività commerciali, con le modalità previste dalla norma, ovvero compilando tutti i campi del modello di cui all'articolo 5 del decreto del ministero dell'Economia e delle finanze 19 novembre 2012 n. 200 (come sollecitato più volte dal Comune sia tramite e-mail sia durante il contradditorio a margine della procedura di accertamento con adesione, ndr). Per questo motivo, l'ente, non disponendo di tali dati, prova a richiederli tramite questionario e, in assenza di una risposta puntuale, emette l'avviso di accertamento per l'intero fabbricato. Neppure è consentita una diversa interpretazione ed applicazione della disposizione in questione, atteso che, trattandosi di norma di esenzione, ovvero derogatoria di quella generale, essa non è suscettibile di applicazione analogica né estensiva e non può, quindi, essere applicata al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative indicate. In conclusione, non basta accertare la sussistenza dei caratteri di solidarietà sociale. È necessario valutare se l'attività svolta, considerata nel suo insieme, abbia o meno natura commerciale.

Confluendo nella rituale quaestio facti, sia la ricostruzione della controversia oggetto del giudizio, sia l'individuazione del dato normativo che ad essa deve trovare applicazione, i giudici di merito, sentite anche le parti, intervenute nella pubblica udienza dello scorso 21 gennaio, decidono per il rigetto del ricorso. Per la pregevolezza dei contenuti e la chiarezza espositiva, si riporta il testo integrale di alcuni tra i passaggi più significativi: «[…]Dalla documentazione in atti, emerge che I'azienda –OMISSIS- opera con criteri imprenditoriali, cioè [svolge] attività commerciale […]Nel caso di specie, l'esonero dal tributo non spetta solo perché l'ente è un ex IPAB o una onlus. […]Né può avere rilievo il fatto che la gestione operi in perdita (questione assolutamente priva di rilievo, in quanto anche un imprenditore può operare in perdita), […]mentre la sola condizione in presenza della quale è lecito escludere il carattere commerciale della attività è quella della gratuità o quasi gratuità del servizio offerto. Risulta, che la parte ricorrente, nonostante più volte sollecitata dal Comune, non ha fornito la documentazione necessaria al fine di provare la sussistenza del requisito oggettivo».

Richiamata la portata delle norme, applicabili al caso in questione, la Ctp di Milano, attraverso un raffinato processo di sussunzione del caso particolare e concreto nella previsione normativa generale e astratta, così conclude, secundum alligata et probata partium (ovvero dopo che le parti hanno prima affermato e poi provato che i fatti, descritti nelle loro circostanze, sono storicamente avvenuti): «Nel caso in esame, non risulta che l'attività sanitaria e socio assistenziale sia svolta a titolo gratuito o dietro un versamento di importo simbolico. La ricorrente - OMISSIS- non può in nessun modo essere equiparata o qualificata al servizio sanitario nazionale, di conseguenza l'IMU richiesta per le annualità 2012 e 2013 è dovuta. Il ricorso va rigettato, con pagamento delle spese processuali a carico della ricorrente liquidate in € 2.500,00».

La sentenza merita menzione perché è una delle prime, tra quelle «di merito», ad affrontare, con assoluta fermezza, la vexata quaestio. La partita è ancora aperta ma, salvo un intervento del legislatore, sarà difficile discostarsi dai principi di diritto comunitario, ben evidenziati dai giudici di legittimità. Sebbene nel nostro sistema processuale non ci sia una norma che statuisca la regola dello stare decisis, il precedente costituisce un valore o una direttiva di tendenza, immanente nel nostro ordinamento. Senza una valida ragione giustificativa, non ci si deve allontanare da una posizione della suprema corte di Cassazione, investita, istituzionalmente, della funzione di nomofilachia. In altre parole, l'uniforme interpretazione è una linea guida, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, scolpito nell'articolo 3 della Costituzione.

(*) Responsabile tributi del comune di Vimodrone (Mi) e giornalista

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