Appalti, torna lo slogan «direttive Ue al posto del codice»: no a un mercato diviso tra sopra e sottosoglia
INTERVENTO. Per risolvere l'emergenza serve una norma che elenchi puntualmente le deroghe e le norme positive da adottare
Con cadenza annuale torna sempre di attualità il leit motiv legato alla "applicazione delle direttive europee" per risolvere il problema del funzionamento del comparto degli appalti pubblici. È innegabile che le norme nel comparto dei lavori pubblici siano troppe; come Ance ne abbiamo contate dalla legge Merloni del 1994 ad oggi oltre 550: quasi 2 interventi (modificatori) al mese per ogni mese degli ultimi 25 anni !
Con questo ritmo anche la norma migliore non potrà mai raggiungere il proprio obiettivo.
Non si ipotizza più una possibile riesumazione del Codice 50, ma al contempo è innegabile che le previsioni sia dello Sblocca cantieri che del Semplificazioni non hanno fin qui prodotto alcun alleggerimento, anzi.
Proprio questi due ultimi provvedimenti vanno nella direzione opposta rispetto alla finalità denunciata di avere più tecnici e meno giuristi all'interno del comparto dei lavori pubblici.
Quali sono infatti esattamente quelle disposizioni di legge espressione dei «…. vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza alla Ue, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 24/25/2014/ ..» invocate dal Dl Semplificazioni, alle quali le nostre stazioni appaltanti non possono sottrarsi? Non sfugge che, per individuare con esattezza il perimetro e la portata delle deroghe al codice nell'ambito delle quali è oggi consentito muoversi, non è più sufficiente una laurea in legge ma occorre un master in diritto comunitario soggetto ad aggiornamenti triennali.
Non è possibile.
La soluzione è troppo semplicistico individuarla nel "commissario modello Genova"; siamo tutti d'accordo che le condizioni al contorno di quella esperienza siano, sotto diversi profili, irripetibili. Non deve peraltro confondersi la semplificazione con la deregulation, perché in questo caso prevarrebbe solo la legge del più forte che non sempre è il migliore.
L'istituto del "commissario straordinario" costituisce la certificazione più cristallina del fallimento delle norme esistenti.
Vengono in mente i lontani studi liceali dove in ogni commedia greca che si rispettasse così complesso era l'aggrovigliamento della trama, per creare un climax di patos, che solo l'intervento di un deus ex machina poteva risolvere il problema e consentire alla narrazione di procedere oltre. Quella però era un finzione scenica, qui invece parliamo di realtà quotidiana che incide sulla vita di tutti i giorni; l'equazione commissario = deus ex machina benché suggestiva non ci aiuta a risolvere il tema di fondo. Peraltro si badi bene che già oggi le uniche stelle polari del "commissario" sono rappresentate dalle norme europee e dalle norme penali antimafia.
Ciò nonostante nessun risultato apprezzabile è stato ancora raggiunto.
Giova peraltro ricordare che il Codice 50, così come le precedenti leggi in materia di appalti pubblici, sono state sempre promulgate a valle del recepimento di direttive europee: dalla direttiva 305/1971 che diede luogo alla legge 584/1977, passando alla direttiva 440/1989 che diede luogo al D.Lvo 406/1991, alle direttive17/18/2004 che diedero vita al D.Lvo 163/2006 per arrivare alle direttive 23/24/25/2014 che diedero luogo al Codice 50.
I principi europei hanno sempre trovato accoglimento nella nostra legislazione costituendone, anzi, il presupposto; che senso ha ora invocare la norma europea quando è proprio questa ultima che permea, ad esempio, il Codice 50?
Si è parlato di "gold plating", il divieto ossia di stabilire oneri a carico degli operatori economici ulteriori rispetto a quelli previsti dalle direttive europee: bene, ottimo.
La storia sull'istituto del subappalto ci insegna qualcosa?
Nonostante ci sia una messa in mora già avviata dalle Autorità europee nel marzo 2017, nonostante ci sia un procedura di infrazione avviata nel gennaio 2019, nonostante ci siano ben due sentenze giurisdizionali (Tedeschi e Vitali) che confermavano il disallineamento della normativa italiana con quella europea a tutto oggi siamo ancora inadempienti trovandoci chiaramente in una situazione di gold plating.
La storia sull'istituto dei pagamenti ci insegna qualcosa? Abbiamo due procedure di infrazione per il disallineamento tra le previsioni della normativa italiana (sia quelle contemplate nel Codice 163/2006 che per il Codice 50/2016) e quella europea per i pagamenti da parte delle stazioni appaltanti pubbliche alla impresa esecutrice per i lavori da questa ultima realizzati. Sebbene fosse chiara, nei due casi, la portata della norme europea il legislatore non è intervenuto né ex ante, al momento di scrivere la norma, né ex post a valle dei provvedimenti europei.
Diverse sono le possibilità via via prospettate partendo da fantomatiche ipotesi di reviviscenza del Dpr 207/2010 da solo o in coppia con il vecchio Dlgs 163/2006 o unitamente alle direttive europee del 2014. Le direttive sono atti di indirizzo, che necessitano, a differenza dei regolamenti comunitari, di regole di attuazione da parte dei singoli Stato membri, per calarle negli ordinamenti nazionali; sono spesso di difficile lettura.
Solo alcune norme sono "self executing", ossia sono talmente precise che non necessitano della legislazione nazionale di recepimento, potendo applicarsi direttamente la loro previsione. La valutazione circa la natura "self executing" delle norme, nel caso di applicazione diretta delle direttive, verrebbe lasciata alle stazioni appaltanti, quantomeno in prima battuta, con tutti i rischi di disomogeneità applicativa che produrrebbe l'immancabile contenzioso.
Il presupposto delle direttive europee è la discrezionalità che viene attribuita alle stazioni appaltanti nelle decisioni quotidiane, la stessa discrezionalità che per diverse congerie nel nostro Paese è invece aborrita dal decisore pubblico. Qualcuno si è chiesto se sia ipotizzabile la applicazione del vecchio Regolamento unitamente al Codice ai soli appalti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria. Ferme tutte le sopraesposte considerazioni, tale soluzione, seppure ipotizzabile in linea astratta, non metterebbe del tutto al riparo la normativa nazionale da eventuali censure comunitarie. La giurisprudenza della Corte di Giustizia della Ue, infatti, ha, in più occasioni, ribadito che le direttive comunitarie non trovano applicazione "sotto soglia" solo quando l'appalto non presenti un interesse transfrontaliero.
Ove quindi si volesse percorrere tale strada, sarebbe anzitutto opportuno definire, a livello normativo, le caratteristiche che attribuiscono ad un appalto tale natura, così da individuare, senza alcun margine di dubbio e fin dal principio della procedura, quali sia la normativa di riferimento, ossia quella nazionale o quella comunitaria.
Anche in tale caso, occorrerebbe comunque tener conto che, quand'anche un appalto non abbia un interesse transfrontaliero, sulla base di quanto affermato dalla stessa Corte di Giustizia, la normativa relativa al suo affidamento dovrebbe essere comunque in linea con i principi generali dei Trattati Ue, in tema di concorrenza, massima partecipazione e tutela del mercato. Non solo.
Nel caso di recepimento fedele del testo delle Direttive Appalti e Concessioni, si verificherebbero tre macro sostanziali profili di criticità:
a) la perdita di alcune parti della normativa nazionale, frutto dell'esercizio di scelte opzionali rimesse agli Stati membri;
b) la perdita di alcune disposizioni nazionali, frutto di scelte politiche effettuate dal legislatore nazionale non disciplinate dalle Direttive (cfr. istituto anticipazione, disciplina delle ati, inapplicabilità sotto soglia dei meccanismi di esclusione automatica delle offerte anomale con i conseguenti effetti negativi in termini di semplificazione e celerità delle procedure di gara);
c) inapplicabilità di alcune disposizioni comunitarie, che presuppongono, inevitabilmente, l'individuazione di specifiche misure attuative nazionali – cd. "fine tuning".
Va rammentato infine che la differenza tra lo strumento delle direttive Ue, rispetto ai regolamenti Ue, risiede proprio nella circostanza che – fatte salve le norme c.d. "self executing" - solo i secondi hanno sicura ed immediata precettività negli Stati Membri.
Peraltro, le direttive del 2014, rispetto a quelle precedenti, sono caratterizzate da un contenuto meno tecnico/procedimentale, più programmatico, in quanto volte principalmente ad attuare gli obiettivi strategici generali del Piano Europa 2020, anche attraverso la normazione sugli appalti pubblici. Tale peculiarità ha, per alcuni versi, accentuato il carattere non immediatamente prescrittivo delle disposizioni ivi contenute.Quanto precede, trova conferma anche nel fatto che , laddove il legislatore del Codice ha optato per un recepimento secondo la tecnica del "copy out", la norma interna risulta connotata di notevole cripticità, tale da impedirne una agevole applicazione.
Si determinerebbe di fatto una qualificazione gara per gara dove ogni stazione appaltante potrà richiedere, ad esempio, i requisiti ritenuti più idonei per la qualificazione e la scelta del contraente.
Tutto questo in un contesto, quello attuale, privo della necessaria qualificazione delle stazioni appaltanti che hanno grande facilità nel pubblicare bandi ma altrettante difficoltà, financo maggiori, per aggiudicare i lavori ed aprire i cantieri.
Temiamo che alcune proposte possano ottenere, sicuramente in maniera involontaria, il risultato di suddividere il mercato tra sopra e sotto soglia. Riducendo il sotto soglia, benché più ricco in numero di appalti pubblicati, ad una area di riserva dalla quale nessuno sarebbe, a lungo andare, più in grado di competere nel libero mercato se non in veste di subappaltatore. Sarebbe un risultato letale perché si aggiungerebbe alla suddivisione del mercato tra "settori ordinari/speciali" che rilevanti esiti negativi ha già determinato nel mercato degli appalti pubblici.
Come Ance abbiamo contrastato la deregulation dello Sblocca cantieri e del Semplificazioni che risultava solo fine a se stessa senza che alcuno dei nodi presenti nella fase programmatoria progettuale trovasse soluzione.
Da qui dobbiamo ripartire, semplificando la vita delle stazioni appaltanti quando iniziano a progettare una opera e quando, ad esempio, per le opere complesse, necessitano di apportare integrazioni al progetto nella fase post aggiudicazione per esigenze sopravvenute.
Non possono essere prigioniere di un perenne gioco dell'oca sul versante delle autorizzazioni.
Evidenziamo la irritualità, comunque, dell'ondivago modo di agire italico, perché in diversi casi bisognerebbe semplicemente dare attuazione alle previsioni di legge.
Ci riferiamo in particolare a quanto disposto ex articolo 8 del Semplificazioni che disciplina la partecipazione a bandi di gara, con la formulazione delle relative offerte, da parte degli operatori economici prima dello scoppio della pandemia (inizio 2020).
Con la crisi pandemica queste procedure si sono "bloccate", senza concludersi con la naturale apertura del cantiere. Gare espletate nel pieno delle massime garanzie sia sotto il profilo della pubblicità che della trasparenza, senza ricorre ad alcuna "procedura di urgenza" sono tuttora ferme; gare, si badi bene, che hanno già copertura finanziaria perché altrimenti non avrebbero potuto essere bandite.
Per le offerte ricevute entro il 22 febbraio 2020 le stazioni appaltanti avrebbero dovuto procedere alla relativa aggiudicazione ed apertura dei cantieri entro il 31 dicembre 2020.
È possibile che, in una fase dove la priorità è da tutti individuata nella ripresa economica (e della occupazione) nessuno si sia fatto carico di verificare se le previsioni ex articolo 8 comma 2 e 3 abbiano avuto attuazione ?
Non costituirebbe un agire da buon padre di famiglia il preoccuparsi di impiegare le risorse che già sono in cassa prima di preoccuparsi di come spendere le risorse che verranno ?
Continuiamo a registrare un richiamo alle doti taumaturgiche che potranno avere le procedure straordinarie (di ogni ordine e grado) senza occuparci di aprire i cantieri pronti da tempo.
Non servono sempre continue nuove norme perché in diversi casi sarebbe sufficiente la applicazione di quelle esistenti, si consenta alle previsioni vigenti di dispiegare i propri effetti salvaguardando la fase della pubblicità e della concorrenza. Solo una adeguata pubblicità nella fase ex ante mette al riparo da possibili storture così come la concorrenza non può essere vista come un orpello o un affaticamento da sopprimere ricorrendo per tutti i lavori ad accorpamenti (artificiosi) che di fatto riservano il mercato a pochi eletti.
Come Ance nel breve auspichiamo la adozione di una unica norma che, per l'attuazione immediata degli interventi infrastrutturali in fase di emergenza, demandi ad un provvedimento proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare di concerto con i Ministri competenti ed a completamento del quadro introdotto con il Dl Semplificazioni, che elenchi puntualmente la disciplina positiva da applicare, modificativa di quella prevista in via ordinaria, per l'affidamento e la esecuzione dei contratti pubblici nella fase emergenziale.
In particolare, con tale ordinanza, dovrebbero essere elencate puntualmente le norme del Codice da derogare, nonché la disciplina positiva da applicare, modificativa di quella prevista in via ordinaria. In tal modo, si raggiungerebbe l'obiettivo di evitare che ogni stazione appaltante, sia essa un commissario straordinario, o altro ente che operi "in deroga" in base Dl Semplificazioni, individui regole ad hoc per ogni gara.
Al contempo, traguardando la uscita dalla emergenza, è necessario lavorare, sin da subito, per farci trovare pronti tra 12 mesi, quando le previsioni derogatorie dovranno cessare, con:
- la adozione di una nuova Legge sui lavori pubblici , più snella e maggiormente equilibrata di quella attuale, contenente le regole e i principi comuni per lavori, servizi e forniture;
- la adozione di un nuovo Regolamento attuativo, espressamente dedicato ai lavori pubblici, distinto da servizi e forniture, in cui recepire anche previsioni di norme comunitarie;
- una razionalizzazione degli innumerevoli centri di spesa attualmente esistenti;
- la adozione di un rating di impresa che si basi su requisiti reputazionali qualitativi.
L'esperienza di questi ultimi anni ci indica chiaramente la strada da percorrere, servono regole e scelte di fondo che non siano continuamente in mutamento.
Ogni strada deve avere un cuore ed una visione, se non ci sono è una strada sbagliata.
(*) Vice presidente Ance con delega alle opere pubbliche