Fisco e contabilità

Assegni di natalità e maternità, sull'obbligo di permesso di soggiorno di lungo periodo deciderà la Ue

La giurisprudenza italiana ha già disapplicato la normativa interna

di Maria Luisa Beccaria

La Corte costituzionale, con l'ordinanza 182/2020, ha chiesto alla Corte di giustizia europea se la normativa italiana, che richiede la titolarità del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo per l'attribuzione degli assegni di natalità e di maternità agli stranieri, sia compatibile con l'articolo 34 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, e con l'articolo 12 paragrafo 1 lettera e) della direttiva 2011/98, sulla parità di trattamento tra cittadini di paesi terzi e cittadini degli stati membri.

Si tratta di una questione ancora dibattuta in giurisprudenza, che coinvolge anche gli enti locali ai fini della integrazione sociale.

Le norme.
L'assegno di natalità, previsto dall'articolo 1 comma 125 della legge 190/2014, con varie proroghe è stato riconosciuto dall'articolo 1 comma 340 della legge 160/2019 a beneficio di ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020. Per usufruirne serve il requisito del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo.
Secondo la Corte costituzionale esso ha una finalità premiale, serve a sostenere le famiglie in condizioni economiche precarie, e potrebbe essere qualificato come prestazione familiare, alla quale si applica il principio di parità di trattamento.
L'assegno di maternità, disciplinato dall'articolo 74 del Dlgs 151/2001, è dovuto per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno, oggi permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo.
Va considerato che, per le fonti europee (regolamento n. 1408/1971 e n. 883/2004, Direttiva 2004/38), va esteso ai cittadini extracomunitari il diritto di parità di trattamento riservato ai cittadini degli stati membri in cui soggiornano, anche se non siano soggiornati di lungo periodo.
In particolare l'articolo 12 della direttiva europea n. 2011/98 ha stabilito il divieto di discriminazione nella materia della sicurezza sociale in favore dei cittadini stranieri in possesso di un permesso unico per lavoro, o con autorizzazione al lavoro, e dei loro familiari.
La disparità di trattamento fondata sulla nazionalità nell'accesso alle prestazioni sociali è stata più volte giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale e nell'ordinanza 182/2020 i giudici hanno rilevato come l'orientamento giurisprudenziale che attribuisce efficacia diretta alle previsioni dell'articolo 12 della direttiva 2011/98, in quanto chiare e incondizionate, non sia seguito dall'amministrazione competente a erogare le provvidenze.
Occorre però segnalare come vi siano enti locali che si sono già portati avanti e con delibera di giunta, in base alla giurisprudenza favorevole agli stranieri, abbiano superato le limitazioni dei soggetti destinatari delle prestazioni relative all'assegno per nuclei familiari numerosi previsto dall'articolo 65 della legge 448/1998 e all'assegno di maternità, e disapplicato le norme interne.
L'importante è che, per la equiparazione basata sull'articolo 41 del Dlgs 286/1998 tra cittadini comunitari e cittadini extracomunitari, il soggiorno di questi ultimi risulti, regolare, non episodico nè occasionate, come evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenza 230/2015), in ordine alle misure di assistenza sociale da garantire agli extracomunitari con titoli validi di soggiorno, ma privi della carta di soggiorno (ora permesso di lungo soggiorno).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©