Il CommentoAmministratori

Autonomia differenziata, Regioni alla difficile prova della scelta delle materie

di Ettore Jorio

Giovedì la bozza di Ddl Calderoli sull'attuazione dell'autonomia legislativa differenziata esordirà in Consiglio dei Ministri. La Premier ha inserito all'odg l'evento, perché preceduto da un andirivieni di tesi favorevoli e contrarie al regionalismo differenziato, con prevalenza di queste ultime. Il rilievo che appare al riguardo più naturale è che entrambe le opinioni vengono di frequente rappresentate senza il giusto approfondimento della lettera costituzionale di diretto riferimento e delle leggi attuative. Indispensabile per affrontare un corretto confronto.

Sembra più una crociata politica che una analisi obiettiva
Tutti partono e arrivano dal/al "famigerato" articolo 116, ultimo comma, del quale in molti hanno fatto una scoperta molto tardiva. Del tipo, un buon aceto balsamico invecchiato di 22 anni circa. Tale è l'anzianità del precetto insediato nella Costituzione. Insomma, il dibattito sulla autonomia legislativa differenziata fa tanto radical chic ma produce pochi radicali liberi. Questi ultimi tanto utili al potenziamento del tono vascolare, funzionale a pensare meglio, con più ossigeno e più impegno cerebrale, necessari a districarsi nella gimkana che la difficile materia obbliga a percorrere per arrivare a giudizi sensati e consapevoli. Si commette diffusamente l'errore di sostenere una opposizione politica alla Costituzione. Grave da parte di chi ha proposto e votato la revisione costituzionale del 2001, peraltro asseverata dal referendum costituzionale confermativo dell'ottobre di quell'anno.
Il dissenso, ove mai, alla opportunità di accedere al regionalismo differenziato e all'insediamento del cosiddetto federalismo fiscale, andava espresso allora. Non lo si è fatto da parte di tutti, così come si sono approvate alla quasi unanimità le leggi n. 131/2003 (La Loggia) e n. 42/2009, rispettivamente, attuativa della novellata Costituzione del 2001 e, per l'appunto, del federalismo fiscale.

Ciò che non si può trascurare
Si diceva, si parla tanto e troppo spesso senza sapere di cosa. Poco o nulla sulle ricadute che si possono avere sull'articolo 117, secondo e terzo comma, in termini di mutevolezza della competenza legislativa esercitata dalla Regioni che accederebbero all'anzidetta opzione offerta dall'articolo 116 della Costituzione. Altrettanti poco o nulla su se e come l'esercizio della autonomia legislativa differenziata possa essere condizionata dall'articolo 119 e dalla legge delega attuativa (n. 42/2009), al lordo dei decreti delegati anche essi di approvazione datata di 12/13 anni.
A ben vedere, si discute senza dividere e approfondire i due argomenti dai quali dipenderà la corretta applicazione.
Il primo riguarda il federalismo fiscale, con costi e fabbisogni standard a fare da guida economico-finanziaria ai livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, assistita dalla perequazione che ne assicura la copertura.
Il secondo è come e cosa le Regioni possano ragionevolmente pretendere in tema di maggiorazione legislativa, dal momento che il regionalismo differenziato non è di facile accesso e gestione. Non è, infatti, un abito prêt-à-porter bensì un capo di alta sartoria, atto a colmare i difetti ed esaltare i pregi delle autonomie regionali che vi accedono, specie considerando la sua vigenza a tempo determinato (dieci anni).

La Costituzione è di tutti insindacabilmente
L'articolo 119 della Carta ha rappresentato la novità in assoluto in tema di finanziamento dell'esercizio delle funzioni pubbliche e di erogazione delle prestazioni essenziali.
Ha sancito il rigetto della spesa storica; ha accentuato la autonomia finanziaria; ha introdotto il Fondo Perequativo per assicurare al sistema autonomistico territoriale uniformità e uguaglianza nella percezione dei Lep afferenti ai diritti civili e sociali.
In combinazione con l'articolo 81 (introduttivo dell'equilibrio economico di bilancio) e con i novellati articolo 97.1 e, per l'appunto, articolo 119.1, che obbligano tutte le istituzioni territoriali ad impegnarsi al riguardo - venuti fuori dalla revisione costituzionale del 2012 – l'articolo 119 materializza la base costituzionale sulla quale lavorare per ridisegnare finanziariamente il Paese delle autonomie territoriali, sempre che non le si voglia cancellare dall'ordinamento, e la Nazione dalle pretese esaudite sui diritti fondamentali (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 4 gennaio). Di conseguenza, il più serio dei problemi da affrontare è caratterizzato dalle scelte - tra le materie indicate nei commi 2 (concretamente riferite alla istruzione, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei bei culturali) e 3 dell'articolo 117 della Costituzione - che le Regioni dovranno effettuare per accedere a una maggiore autonomia legislativa. Un argomento, questo, da approfondire con grande attenzione nel senso di ben concepire un'attrazione legislativa più ampia delle Regioni estesa anche su segmenti di materie, atteso che le stesse per come definite nell'articolo 117 afferiscono a macro-argomenti, di difficile sostenibilità nella loro interezza argomentativa per la gran parte delle istituzioni regionali medesime.

Conoscenza delle regole e ragionevolezza nel decidere
Dunque, un onere difficile quello delle Regioni di approcciarsi alla opzione afferente alle materie da rivendicare, certamente da non trattare così come è avvenuto in occasione dei referendum dove si era ricorso addirittura alla pretesa della Lombardia di volere legiferare sui porti in assenza di sbocchi al mare. Pertanto, continuare - così come si sta facendo - a rifiutare aprioristicamente l'opportunità del ricorso facoltativo delle Regioni a conseguire una maggiore autonomia legislativa offre il fianco a critiche sul come si affronta indecentemente un siffatto importante tema, spesso nella inconsapevolezza assoluta delle norme costituzionali che lo sorreggono.
Di guisa, prima di esprimersi impudentemente in senso negativo su un importante precetto della Costituzione (articolo 116, comma 3) - revisionata per iniziativa di un governo allora di centrosinistra (2001) e condivisa da un referendum confermativo, uno dei pochi ad aver raggiunto il quorum - occorre riflettere e studiare.
Una volta che si è presa coscienza di cosa sia, necessita non prendere atto delle reali ricadute conseguenti al perfezionamento dell'iter parlamentare che assegni le materie rivendicate dalle Regioni istanti alla propria competenza legislativa esclusiva. Due step funzionali a centrare correttamente il bersaglio, ove mai criticamente.

L'errore d'ipotesi è in agguato
Tutto questo, ovviamente, non significa affatto che le Regioni dovranno accedervi per forza o perché divenuto di moda ovvero per imitazione delle Regioni che più contano. Dovranno farlo solo e soltanto se ne avvertano la utilità assumendo la certezza di sorreggere i pesi burocratici che ne deriveranno, dal momento che il tornare indietro costringerebbe a sopportare un costo di ritorno considerevole sul piano istituzionale, economico e di resa dei servizi pubblici. Da qui, la necessità di affrontare il tema con i dovuti saperi, evitando di giudicare politicamente l'opportunità offerta dalla Costituzione. Ove mai un siffatto giudizio dovrà riguardare le valutazioni utili che ogni Regione dovrà fare e le garanzie da pretendere a che, a qualunque dimensione di materie siano esercitate le opzioni, non venga intaccata l'unità giuridica ed economica della Repubblica, l'uguaglianza, l'universalità e l'uniformità dell'esigibilità dei diritti civili e sociali. D'altronde, scegliere in tal senso rappresenta un esercizio dilatato della autonomia che è una prerogativa delle Regioni, una constatazione che non rende accettabile la diffusa denominazione di "autonomia differenziata" senza l'aggettivazione di legislativa.