Il CommentoAmministratori

Autonomia, il regionalismo offre l'occasione di cambiare

di Ettore Jorio

Il nuovo testo per l'autonomia differenziata, quello trasmesso in odore di Capodanno al Governo, costituisce lo strumento di confronto nel giro d'Italia che il ministro Calderoli sta facendo, iniziando dalla Calabria. Un modo per comprendere cosa modificare nella sua bozza di Ddl perché venga condiviso senza storcere il naso in Consiglio dei Ministri e passi indenne (o quasi) in Conferenza Stato-Regioni e, poi, in Parlamento.

Dunque, Calderoli cerca partner regionali. I presidenti di Regione si distinguono e fortemente nella "contesa" dell'attuazione dell'articolo 116, comma 4, della Costituzione. C'è chi spara a salve e c'è chi, ancorché in modo roboante (De Luca), dice cose giuste. C'è chi si limita in corrette ma parziali rivendicazioni. C'è chi, proveniente dal Sud più martoriato, propone la riscrittura organica del muletto di lavoro proposto dal ministro Calderoli. Quest'ultimo fa tuttavia un grosso errore politico. In Calabria suppone di superare il grande e importante problema di mettere insieme, così come pretende la Costituzione, un efficace sistema perequativo per le Regioni che non hanno gettito fiscale sufficiente ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni alle rispettive popolazioni. Lo fa attribuendo al centralismo la responsabilità della attuale sperequazione. Così non è. La colpa di tutto questo è quella di aver perso tredici anni a non dare attuazione alle legge 42/2009, attuativa dell'articolo 119 della Costituzione, introduttivo del federalismo fiscale.

Il ministro Calderoli questo lo sa bene. Così come avrà modo di ricordare che, a seguito della sua utile accelerata di approvazione della anzidetta legge e dei nove decreti delegati, ci fu una riunione presso il suo ministero della semplificazione, cui chi scrive ha partecipato come esperto Copaff. Alla riunione, dal medesimo indetta, parteciparono l'allora ministro della salute Fazio, Luca Antonini, presidente Copaff oggi giudice costituzionale, il prof. Ernesto Longobardi, l'ottimo dirigente di un dipartimento della Salute Filippo Palumbo. Il tema trattato era appunto quello di come dovessero essere individuati i Lea, i Lep specializzati in ambito sanitario. Un buon lavoro iniziato che però finì lì, con l'uscita di scena dal governo dello stesso Calderoli.

Dunque, ancorare il regionalismo differenziato provvisoriamente alla spesa storica fino a quando non saranno determinati i costi e i fabbisogni standard (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 17 novembre) significa rimanere perlomeno altri tredici anni con gli attuali finanziamenti statali, insufficienti per tanti e sperequati per le Regioni più povere.

Quindi avremo un regionalismo differenziato rivendicato dalle Regioni forti e rifiutato dalle altre, ovvero se utilizzato anche da queste ultime portatore di rovina, considerato il confronto in atto dove sono davvero pochi a capire realmente cosa sia l'attuazione dell'articolo 116, ultimo comma, della Costituzione.

Del resto, qualcosa occorre fare. Rifiutare tout court l'autonomia legislativa differenziata, per mero preconcetto, sarebbe sbagliato. Significherebbe promuovere e accettare l'attuale stato di disagio della sanità, del sociale, dell'amministrazione scolastica e dei trasporti pubblici locali, tutti penosi a certe latitudini (e non solo). Il regionalismo offre l'occasione di cambiare.

Sarà pertanto compito: di Calderoli di implementare il suo testo di Ddl nel senso di renderlo garante, ovunque, dei servizi fondamentali e delle prestazioni essenziali; dei Presidenti delle Regioni approcciare al tema con saggezza e ragionevolezza, scegliendo le materie, ovvero segmenti di esse, in modo tale da realizzare il meglio rispetto al peggio di oggi.