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Autonomia: il nuovo Ddl scansiona tempi, competenze e step

di Ettore Jorio

Rifiutare aprioristicamente l'opportunità del ricorso facoltativo delle Regioni a conseguire una maggiore autonomia legislativa - di quella attribuita loro dall'articolo 117 della carta costituzionale e di una parte di quella riconosciuta come esclusiva dello Stato - assume un duplice significato.

Il primo, di doversi esprimersi impudentemente in senso negativo su un importante precetto della Costituzione (articolo 116, comma 3), revisionata per iniziativa di un governo allora di centrosinistra (2001) e condivisa da un referendum confermativo, uno dei pochi ad aver raggiunto il quorum.

Il secondo - che è insieme causa e conseguenza della prima - è quello di non prendere coscienza delle reali ricadute conseguenti al perfezionamento dell'iter parlamentare che assegni le materie rivendicate dalle Regioni istanti alla propria competenza legislativa esclusiva. Meglio, di non centrare così correttamente il bersaglio della critica.

Per generare un buon sistema occorre fare autocritica e agire conseguentemente

Tra un groviglio di considerazioni sulle regole, molte delle quali non sempre propriamente corrette in tema di distribuzione delle risorse statali alle autonomie regionali confondendo in ciò le pretese di alcune Regioni del Nord con le regole costituzionali e della legislazione attuativa delle stesse -, si trascura nel dibattito lo stato dell'essere, oramai "antico", dell'impalcatura giuridica che disciplina la materia.

A proposito di questa, è bene sottolineare che, nel 2009 è stata approvata, alla quasi unanimità, la legge delega n. 42 attuativa dell'articolo 119 della Costituzione. Una legge alla quale hanno fatto seguito ben otto decreti delegati approvati nel biennio 2010-2011, dei quali alcuni regolatori dell'attuale disciplina contabile (Dlgs 118/2011) e altri - specie quelli introduttivi dei criteri dei fabbisogni standard per gli enti locali (Dlgs 216/2010) e dell'importante binomio costi/fabbisogni standard afferenti al sociosanitario (Dlgs 68/2011) - lasciati dormire nel cassetto da oltre dodici anni (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 17 novembre 2022). Una tale nutrita esistenza di regole, costituzionali e ordinarie, avrebbe dovuto consigliare, da subito, un più accorto approccio sia alla legge attuativa dell'articolo 116, comma 3, che all'applicazione del cosiddetto federalismo fiscale, lasciato "impagato" sul banco della colposa inerzia legislativa, regolamentare e amministrativa (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 4 gennaio).

Vietato buttare alle ortiche la salvaguardia primaria dell'uniformità delle prestazioni pretesa dalla Costituzione
Al riguardo, è da sottolineare negativamente l'assenza nel testo della costituzione e del funzionamento del fondo perequativo destinato alle spese correnti, senza vincolo di destinazione, imposto dalla Costituzione (articolo 119, comma 3). Quello strumento indispensabile per garantire, per l'appunto, il buon esito dei Lep ovunque e in favore di chiunque.
Di contro, occorre considerare che il finanziamento basato sulla spesa storica, vero male dell'andamento negativo della qualità e quantità delle prestazioni pubbliche da rendere alla collettività, è stato lo strumento generativo di un regime di assoluta sperequazione dal 2011 sino a oggi. Un suo prolungamento sistemico determinerebbe la fine delle politiche solidaristiche e dell'unità sostanziale della Repubblica.

Un match point per Calderoli
Veniamo all'elaborato Calderoli. Nella stesura definitiva (29 dicembre) della bozza del Ddl è dato rinvenire, rispetto alle versioni precedenti, un esempio di abile e raffinata tecnica redazionale legislativa. Esso è da individuare nel rinvio alla legge di bilancio per il 2023, cui il testo Calderoli si vincola in regime di complementarità assoluta. Una pregevole invenzione, questa, che differenzia - nella sostanza - l'elaborato del ministro degli affari regionali e delle autonomie rispetto a quelle elaborate dagli omologhi Boccia e Gelmini.
La novità assume la caratteristica dell'essenzialità per un buon esordio del federalismo fiscale. Come tutte le cose essenziali, la sua ricaduta pratica, tutta da venire, è fino a oggi passata inosservata, meglio non valutata positivamente come invece merita. Negli anzidetti due tentativi antecedenti Ddl, così come nei primi elaborati di Calderoli, si condizionava la percorrenza da parte delle Regioni all'ottenimento di una maggiore autonomia legislativa, alla preventiva definizione dei Lep e, quindi, alla determinazione dei fabbisogni standard. Lo si faceva tuttavia senza offrire uno strumento di concreta accelerazione dell'evento.

Così non è invece nel testo presentato da Calderoli al Governo lo stesso giorno di pubblicazione della legge di bilancio 2023. In esso infatti, con il rinvio enunciato all'articolo 3 ai commi 791-801 della legge 197/2022 - e nello specifico ai commi 792-797 - si scansionano tempi (sei mesi più sei mesi), competenze (cabina di regia e commissione tecnica per i fabbisogni standard) e step (ricognizione delle normative e delle funzioni esercitate da Stato e Regioni, della spesa storica dell'ultimo triennio, della individuazione delle materie riferibili ai Lep) utili a perfezionare i suddetti adempimenti.

Con questo viene offerta l'opportunità di perfezionare gli anzidetti nel corso dell'anno dall'entrata in vigore della legge di bilancio, ovverosia entro il 31 dicembre. Un risultato che, se non interamente conseguito da parte degli organismi incaricati, viene preteso da un commissario ad acta che dovrà adempiere nei 30 giorni successivi al compimento delle eventuali attività non perfezionate.

Un percorso legislativo, questo, che dà modo - nel tempo necessario a mettere tutti d'accordo sulla legge attuativa dell'articolo 116, comma 3, della Costituzione - di completare i lavori di definizione dei Lep e di determinazione dei fabbisogni standard, con la favorevole conseguenza di approvare la stessa con l'avvenuta "messa a terra" degli strumenti di finanza pubblica necessari ad assicurare, comunque, i Lep su tutto il territorio nazionale.