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Autonomia, sulla bozza Calderoli rivolta del Mezzogiorno e gelo di FdI

Oggi il testo torna alla conferenza delle Regioni. De Luca: «In battaglia per il ritiro»

di Gianni Trovati

Difficile che arrivi davvero a «spaccare» l’Italia, come dicono di temere i suoi detrattori. Ma senza dubbio l’autonomia differenziata che torna oggi al centro della scena in conferenza delle Regioni spacca la politica. E promette di creare qualche faglia anche nella maggioranza.

A riaccendere le ostilità su un dossier che fin qui ha impegnato senza risultati i governi Gentiloni, Conte-1, Conte-2 e Draghi è l’ultima versione della bozza di legge quadro inviata nei giorni scorsi alle regioni dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli. La frattura Nord-Sud ha cominciato già a manifestarsi nelle riunioni tecniche, ed esploderà oggi nel confronto politico fra il ministro e la conferenza. «Da domani siamo in battaglia», ha anticipato il presidente della Campania Vincenzo De Luca annunciando la richiesta al governo di ritirare «un testo che genera solo caos e spacca in due il Paese». A dare manforte a questo «no» saranno Basilicata, Calabria, Lazio, Molise e Puglia. Il fronte è bipartisan perché alle regioni a guida Pd (Lazio, Campania e Puglia) affianca quelle targate Forza Italia (Molise, Basilicata e Calabria). Ma più del colore politico qui conta la geografia. Perché da Roma in su i toni cambiano: dalla Toscana il presidente Eugenio Giani (Pd) spiega che «la riunione è importante perché inizia il percorso dell’autonomia differenziata» a cui la sua regione guarda per materie come «i beni culturali o la geotermia». In attesa c’è poi l’Emilia Romagna, dove il presidente Stefano Bonaccini ora atteso alla candidatura per la segreteria Dem ha chiesto da anni la devoluzione delle funzioni; oltre ovviamente alle leghiste Lombardia e Veneto che dell’autonomia hanno fatto la terra promessa a cui puntare. Dal centro-nord arriva invece lo stop del sindaco di Pesaro Matteo Ricci, che nella veste di presidente di Ali-Legautonomie chiede «il ritiro immediato del disegno di legge perché così si spacca l’Italia».

Dietro alla politica c’è la sostanza dei soldi. In sintesi estrema, il trasferimento delle funzioni si può fare in due modi: fissando prima i Lep, i «livelli essenziali delle prestazioni» di cui garantire il finanziamento integrale, oppure «a spesa storica», assegnando alle regioni quel che lo Stato oggi spende per la funzione oggetto del trasloco. Il primo sistema garantisce le regioni più povere, il secondo favorisce quelle più ricche dove oggi molti servizi sono più sviluppati, e quindi più finanziati.

La bozza Calderoli spiega che la via maestra è la prima, ma che se i Lep non arrivano in 12 mesi si parte con la seconda. Di qui la rivolta del Sud. A Nord si sottolinea poi la questione delle competenze «residuali», quelle assegnate alle regioni su cui però lo Stato mantiene un piede, come turismo e agricoltura.

La bozza, in ogni caso, è l’ultima ma non è quella finale, anche nelle intenzioni di Calderoli che infatti parla di «bozza di lavoro» e chiede un «confronto leale». Anche perché su questo percorso già naufragato più volte è ancora da trovare l’intesa con Fdi, non proprio entusiasta dell’autonomia che vuole affiancare al presidenzialismo. «Per noi i Lep sono imprescindibili perché non possono esserci regioni di serie A e regioni di serie B», ha messo le mani avanti dal partito della premier il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli in un colloquio con Il Fatto Quotidiano. Senza contare il confronto da avviare con il Mef, dove in passato sono piovute le bocciature sui profili finanziari delle varie ipotesi di legge quadro. E dove fin qui il ministro Giancarlo Giorgetti ha fatto prevalere le compatibilità di bilancio sulle bandiere leghiste, dalla Flat Tax a quota 41 all’abolizione del canone Rai.

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