Caos equo compenso nelle società: nomine bloccate e incognita ricorsi
Dalla nuova legge parametri superiori a quelli previsti fin qui nelle aziende pubbliche
Soci pubblici che decidono di non applicare le tariffe previste dalla legge sull’equo compenso (legge .49/2023), assemblee societarie che sospendono nomine dei collegi sindacali per approfondimenti sui compensi da riconoscere, enti e società che pongono quesiti alle associazioni di riferimento: a pochi giorni dalla sua entrata in vigore la nuova disposizione sembra destinata a un forte impatto sulle Pa e sulle società partecipate, che rientrano esplicitamente nel suo ambito di applicazione (articolo 2, comma 3).
E, almeno per ora, le scappatoie al problema sollevato su NT+ Enti locali & edilizia del 16 giugno, sembrano poche. Infatti «sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo (…); sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia (…)» (articolo 3, comma 1).
In questi giorni serpeggia il dubbio se la disposizione si applichi anche ai membri del collegio sindacale che non siano iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, e si cercano escamotage per affidare, laddove possibile, l’incarico del controllo a un professionista iscritto al registro dei revisori legali ma non all’albo dei dottori commercialisti, bypassando la norma. In realtà questa non è una soluzione legittima, e probabilmente è anche una scelta miope. Infatti, per l’articolo 40 del Dm 140/2012 «il compenso relativo alle prestazioni riferibili alle altre professioni vigilate dal ministero della Giustizia è liquidato dall’organo giurisdizionale per analogia». Quindi, in sostanza, la tariffa è la medesima. Cambia invece il regime sanzionatorio.
Mentre il professionista che non aderisce a un ordine non rischia punizioni, per gli altri «gli Ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali» (articolo 5, comma 5).
Sulle sanzioni, si vedrà l’orientamento degli Ordini e delle disposizioni deontologiche, senza le quali non può essere immaginata una contestazione agli iscritti.
Certamente più efficace è la previsione dell’articolo 5, comma 4: «I Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso«. E, ancora, quella dell’articolo 9, dove si prevede la class action: «I diritti individuali omogenei dei professionisti possono essere tutelati anche attraverso l’azione di classe».
La partita è appena iniziata e la sua efficacia dipenderà dalla determinazione degli Ordini nel cogliere questa opportunità di tutela dei propri aderenti nel rispetto della norma, e dalla capacità delle associazioni delle imprese di trovare il modo di fare inserire delle norme che consentano di sfruttare la deroga prevista per «le clausole che riproducono disposizioni di legge» (articolo 3, comma 3).