Appalti

Caro materiali, l'impresa non firma il contratto e la Pa escute la garanzia? Ricorso al giudice ordinario

Tar incompetente perché la revoca «non ha natura pubblicistica», sostiene il Tar Lombardia. Revisione prezzi, confermata l'ammissibilità solo nella fase esecutiva

di Roberto Mangani

L'istanza di revisione del corrispettivo del contratto di appalto presentata prima della stipula del contratto stesso, avanzata in relazione alla ritenuta non economicità dell'offerta a causa di eventi sopravvenuti alla sua presentazione, deve ritenersi inammissibile. Ciò in quanto l'istituto revisionale opera per definizione nella sola fase esecutiva dell'appalto, essendo volto al ripristino dell'equilibrio contrattuale dovuto a circostanze sopravvenute tipiche di tale fase, e non può quindi essere invocato quando la stessa non ha ancora avuto inizio. Quanto alla domanda volta a ottenere l'annullamento del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria adottata dall'ente appaltante a seguito del rifiuto alla stipulazione del contratto di appalto da parte dell'aggiudicatario a causa del mancato adeguamento del corrispettivo d'offerta, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, trattandosi di questioni che rientrano nell'autonomia negoziale delle parti e che di conseguenza involgono diritti soggettivi. Sono questi i principi affermati dal Tar Lombardia, Sez. II, 10 giugno 2022, n.1343, che sul primo profilo – di particolare attualità a fronte del noto fenomeno del così detto caro materiali – ribadisce un orientamento già espresso in precedenza, mentre sul secondo offre importanti indicazioni in tema di escussione della garanza provvisoria.

Il fatto
Un ente committente aveva indetto una gara suddivisa in lotti per la fornitura di materiale di ausilio per disabili. Il concorrente aggiudicatario di alcuni lotti richiedeva, successivamente all'aggiudicazione, l'adeguamento dei prezzi contenuti nell'offerta sul presupposto che quest'ultima non fosse più remunerativa, a causa di circostanze imprevedibili sopravvenute alla presentazione della stessa. L'ente appaltante respingeva tale richiesta e, a fronte del rifiuto dell'aggiudicatario di procedere alla stipula del contratto, procedeva alla revoca dell'aggiudicazione e all'incameramento della cauzione provvisoria prestata in sede di gara a garanza dell'offerta. L'aggiudicatario proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo chiedendo l'annullamento sia del provvedimento di revoca che di quello di incameramento della cauzione. I plurimi motivi di ricorso venivano diversamente articolati in relazione ai due diversi provvedimenti di cui si chiedeva l'annullamento.

Con riferimento al provvedimento di revoca, il ricorrente sosteneva che l'ente committente non avrebbe adeguatamente motivato in relazione alla mancata valutazione delle eccezionali condizioni di mercato che avrebbero comportato la non remuneratività dell'offerta. Sarebbe di conseguenza illegittimo il rifiuto dell'ente appaltante di adeguare il corrispettivo contrattuale per tenere conto dell'anomalo incremento dei prezzi delle materie prime intervenuto tra la data di presentazione dell'offerta e la data di stipula del contratto. Relativamente al provvedimento di incameramento della cauzione, il ricorrente ne chiedeva l'annullamento sostenendo la non imputabilità allo stesso delle circostanze poste alla base della richiesta di adeguamento del corrispettivo e al conseguente rifiuto di stipulare il contratto. Tutti i motivi di ricorso, sia pure per motivazioni diverse in relazione ai due distinti provvedimenti, non sono stati accolti dal giudice amministrativo.

L'adeguamento del corrispettivo
Sul primo profilo oggetto di contestazione i motivi di ricorso proposti sono stati integralmente respinti. In via preliminare il giudice amministrativo analizza la specifica clausola contenuta nello schema di Convenzione/contratto allegato al disciplinare di gara in cui veniva precisato che i corrispettivi offerti in sede di gara sono stati determinati dal concorrente in base alle proprie autonome valutazioni e devono considerarsi fissi e invariabili indipendentemente da qualunque imprevisto o eventualità, che rientra nel rischio imprenditoriale. Viene coerentemente precisato che l'appaltatore non ha diritto ad alcun adeguamento, revisione o adeguamento del corrispettivo. Risulta quindi evidente che l'ente appaltante ha espressamente previsto che il corrispettivo d'appalto resti fisso e immutabile anche nel corso dell'esecuzione dell'appalto.

A fronte del tenore di questa clausola, non può essere accolta la domanda del ricorrente che invoca una lettura della stessa che consenta comunque, a fronte di circostanze eccezionali, una modifica del contratto con riferimento alla misura del corrispettivo offerto. Infatti, occorre in primo luogo considerare che le clausole contenute nella documentazione di gara rappresentano un autovincolo per l'ente appaltante, che non può derogarvi pena la violazione del principio della par condicio tra i concorrenti. In secondo luogo, va rilevato che le tempistiche di svolgimento della gara sono tali che non si può ragionevolmente sostenere che i concorrenti non fossero in grado di prevedere e quindi stimare ai fini della formulazione dell'offerta l'eccezionale aumento dei costi dei materiali che era in corso, il che avrebbe dovuto comportare un supplemento di cautela e l'uso di particolare diligenza.

Ma soprattutto – e questo costituisce l'argomento dirimente – la rimodulazione del corrispettivo offerto in sede di gara che intervenga prima della stipulazione del contratto rappresenta una evidente alterazione del confronto concorrenziale, posto che l'aggiudicatario che ha offerto il prezzo migliore godrebbe poi dell'indebito vantaggio di poterlo rivedere assumendo l'insostenibilità dell'offerta da lui stesso formulata. Proprio tenendo conto di tale circostanza, risulta coerente che nella disciplina dei contratti pubblici non sia rinvenibile alcuna regola o principio che legittimi la revisione del corrispettivo offerto in sede di gara prima della stipula del contratto. Le circostanze eccezionali che rendono non più remunerativa l'offerta presentata possono eventualmente legittimare il rifiuto dell'aggiudicatario di procedere alla stipula del contratto, ma non certamente una rimodulazione del corrispettivo.

Né ha senso invocare gli istituti previsti dall'ordinamento – come la revisione prezzi – volti a ripristinare l'equilibrio contrattuale a fronte di eventi eccezionali e imprevedibili che abbiano alterato il fisiologico andamento del mercato. Tali istituti infatti riguardano e possono operare con esclusivo riferimento alla fase esecutiva del contratto, ma non possono certamente essere utilizzati per modificare il corrispettivo di appalto quando non solo l'esecuzione dell'appalto non è stata ancora avviata, ma non si è arrivati neanche alla stipula del contratto. La conclusione è quindi ovvia: l'ente appaltante ha operato correttamente nel respingere l'istanza di revisione del corrispettivo formulata dall'impresa aggiudicataria e, a fronte del rifiuto di quest'ultima di stipulare il contratto, nell'adottare il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione.

L'incameramento della cauzione provvisoria
Il secondo profilo esaminato riguarda la domanda di annullamento del provvedimento dell'ente appaltante di escussione della cauzione provvisoria. Su questo aspetto la decisione del Tar Lombardia è nel senso di declinare la propria competenza a decidere, ritenendo che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice ordinario. Nello specifico, il ricorrente richiedeva che il giudice amministrativo accertasse la mancanza dei presupposti per l'escussione della cauzione provvisoria in considerazione delle particolari circostanze - da ritenersi cause giustificatrici – che lo avevano indotto a rifiutare la stipula del contratto. Al riguardo il Tar Lombardia osserva in primo luogo che l'escussione della garanzia provvisoria non rappresenta la conseguenza automatica del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione inteso come espressione di un potere autoritativo. Nel caso di specie la revoca non ha natura pubblicistica, ma rappresenta piuttosto l'espressione di un potere di natura negoziale che l'ente appaltante esercita a fronte del rifiuto dell'aggiudicatario di stipulare il contratto. Non vi è quindi alcun nesso di conseguenzialità tra la revoca dell'aggiudicazione e l'escussione della garanzia provvisoria.

Detto altrimenti, la controversia in esame non riguarda l'esercizio di un potere pubblicistico – neanche in via indiretta – bensì l'accertamento della sussistenza dei presupposti per l'incameramento della cauzione provvisoria, relativamente a un potere di natura privatistica che l'ente appaltante esercita nell'ambito della sua autonomia negoziale. La naturale conseguenza è che tale controversia non può che rientrare nella competenza del giudice ordinario, quale giudice che conosce dei diritti che nascono nell'ambito di un rapporto privatistico. Questa conclusione trova conferma nella natura della cauzione provvisoria. Essa – per le sue caratteristiche indicate dalla stessa norma che la disciplina - si qualifica come una garanzia autonoma a prima richiesta. Questa configurazione rimarca la totale autonomia che la stessa e le vicissitudini che la riguardano presentano rispetto ai provvedimenti amministrativi – nel caso specifico la revoca – che vi sono collegati. In sostanza, l'obbligazione principale – nel caso di specie la stipula del contratto – e l'obbligazione di garanzia, benché collegate, restano su piani distinti e separati, con la conseguenza che le controversie relative all'obbligazione di garanzia rientrano nella competenza del giudice ordinario, in quanto attinenti a un rapporto di natura esclusivamente privatistica. Su tali controversie non può quindi pronunciarsi il giudice amministrativo.

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