Personale

Comuni, dal rinnovo dei contratti tegola da 1,5 miliardi sui conti 2022

Con la firma dell’intesa scatterà il pagamento degli arretrati da 850 milioni

di Gianni Trovati

Per ora è impossibile prevedere in modo più o meno puntuale i tempi del rinnovo del contratto delle Funzioni locali, che vive le battute iniziali del negoziato e deve ancora affrontare i nodi più intricati a partire dalla traduzione negli enti del nuovo ordinamento in quattro aree per fare spazio al gruppo inedito delle «elevate professionalità». Solo un aspetto è certo. Il rinnovo peserà parecchio sui conti del 2022, che gli enti devono iniziare a preparare al netto del solito balletto sulla proroga atteso a partire dai prossimi giorni. E le cifre non sono difficili da ricostruire per misurare il peso della questione sui bilanci.

Nei Comuni il rinnovo porta con sé circa 850 milioni di arretrati, perché il contratto da rinnovare si riferisce al 2019/2021, e altri 580 milioni di aumento strutturale della spesa. Dal momento che, appunto, il contratto nazionale sarà scaduto nel momento stesso in cui sarà firmato, bisogna mettere in preventivo anche i costi della vacanza contrattuale, che su base annua valgono lo 0,35% della massa salariale (si paga lo 0,3% nel periodo aprile-giugno, e lo 0,5% nel secondo semestre) e chiedono quindi altri 43 milioni. Un’ultima voce riguarda il costo dei nuovi ordinamenti: per la Pa statale la legge di bilancio mette a disposizione 200 milioni, che valgono lo 0,22% della massa salariale. Nei Comuni, che come sempre devono replicare pro quota il meccanismo statale mettendolo a carico dei propri bilanci, lo stesso parametro costa 29 milioni.

Il conto, imponente, arriva quindi a 1,5 miliardi, e in termini di cassa è gonfiato soprattutto dagli arretrati prodotti dal ritardo abituale con cui i contratti del pubblico impiego arrivano alla firma. Le regole contabili impongono in realtà alle amministrazioni locali di accantonare in anticipo nei propri bilanci i costi dei rinnovi contrattuali appena vengono quantificati dalle leggi di bilancio. Ma è probabile che in molti enti l’accantonamento non sia stato esattamente puntuale e completo. E, soprattutto, non è questo il problema principale sul piano strutturale.

Il punto (NT+ Enti locali & edilizia del 15 novembre) è che la gobba dei costi si riflette direttamente sui parametri per misurare gli spazi assunzionali, basati sul rapporto fra le spese di personale e le entrate correnti stabili di ogni amministrazione. In questo scenario, un aumento secco del 13% dei costi del personale è destinato inevitabilmente a far perdere a molti Comuni l’etichetta di «virtuosità» che apre la strada al maggior numero di assunzioni, e a schiacciare molti altri nella fascia più bassa che in pratica chiude le porte ai nuovi ingressi.

Il problema è arrivato sui tavoli del governo, che infatti con il ministro per la Pa Renato Brunetta e il Mef sta lavorando all’ipotesi di un fondo aggiuntivo per garantire le assunzioni dei profili più vitali per attuare il Pnrr. Ma i numeri in gioco sembrano complicati da gestire in una legge di bilancio che ha già praticamente esaurito i pur ampi margini fiscali a disposizione.

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