Appalti

Concessioni, giusto escludere dalle gare chi ha debiti con la Pa

Consiglio di Stato: clausola legittima perché mirata ad accertare la solidità economico-finanziaria dei concorrenti

di Roberto Mangani

Nelle procedure di gara per l'affidamento delle concessioni l'ente concedente può legittimamente prevedere nel disciplinare una causa di esclusione per i concorrenti che abbiano debiti pregressi con la pubblica amministrazione, anche in relazione al mancato pagamento di canoni, oneri e indennità pregresse.
Una clausola di questo tipo non può infatti essere considerata in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall'articolo 83, comma 8, del D.lgs. 50/2016. Ciò in quanto tale principio va interpretato nel senso di vietare l'introduzione di clausole che impongono adempimenti e prescrizioni di carattere meramente formale, ma non di quelle – come nel caso di specie – dirette ad accertare la sussistenza di requisiti di natura sostanziale, come quelli che attengono alla solidità economico-finanziaria dei concorrenti.

Sono queste le interessanti affermazioni del Consiglio di Stato, Sez. V, 17 maggio 2022, n. 3861, che, pur riguardando una specifica ipotesi di concessione caratterizzata da alcune peculiarietà, afferma principi che appaiono estendibili a tutte le concessioni in generale, in cui assume appunto rilievo centrale la capacità economico-finanziaria del futuro concessionario.

Il fatto
Il ministero della Difesa aveva bandito una procedura negoziata per l'affidamento in concessione dei servizi sportivi del circolo dei dipendenti.Nel disciplinare di gara era contenuta una specifica clausola secondo cui i concorrenti non dovevano avere debiti pendenti nei confronti della pubblica amministrazione e del Demanio, anche in relazione al mancato versamento di canoni, oneri e indennità pregresse, pena l'esclusione dalla gara. Uno dei concorrenti, pur avendo dichiarato di non avere debiti pendenti, risultava in realtà non aver regolarmente versato alcuni oneri relativi peraltro al medesimo impianto oggetto di affidamento, di cui lo stesso concorrente risultava in precedenza gestore. Conseguentemente il ministero, facendo applicazione della clausola sopra ricordata, procedeva all'esclusione del concorrente.

Il provvedimento di esclusione veniva impugnato davanti al Tar Lazio, che tuttavia respingeva il ricorso. Nello specifico il giudice amministrativo riteneva lo stesso inammissibile per tardività; la clausola relativa ai debiti prendenti oggetto di contestazione doveva infatti ritenersi immediatamente escludente - in quanto impeditiva della partecipazione alla gara del concorrente che si trovasse nella descritta situazione - e come tale soggetta all'onere di immediata impugnazione (quindi nei termini decorrenti dalla pubblicazione del disciplinare e non dal provvedimento di esclusione che ne aveva fatto applicazione).

L'inammissibilità del ricorso per tardività comportava che non poteva neanche essere discussa la censura mossa dal ricorrente, fondata sulla ritenuta nullità della clausola in quanto in contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall'articolo 83, comma 8 del D.lgs. 50. La pronuncia di primo grado è stata oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato da parte dell'originario ricorrente.

La presunta nullità della clausola escludente
Il motivo fondamentale posto a fondamento dell'appello ripropone il tema della nullità della clausola oggetto di contestazione. Secondo il ricorrente tale clausola avrebbe operato un'illegittima estensione della causa di esclusione disciplinata dall'articolo 80, comma 4 del D.lgs. 50, che riguarda il mancato pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali. La clausola infatti si riferisce a eventuali posizioni debitorie del tutto diverse, che derivano da rapporti di natura contrattuale. Ciò renderebbe la stessa posta in violazione del principio di tassatività della cause di esclusione sancito dall'articolo 83, comma 8, determinandone di conseguenza la nullità e la relativa illegittimità di tutti i provvedimenti conseguenti.

Il Consiglio di Stato ha respinto il motivo di ricorso. In via preliminare il giudice di appello ha rilevato che il giudice di primo grado, pronunciandosi nel senso dell'irricevibilità del ricorso, non è entrato nel merito della contestazione avanzata dal ricorrente. Tuttavia questa carenza della sentenza di primo grado non comporta la riforma della stessa, sulla base del principio processuale secondo cui l'omessa pronuncia del giudice di primo grado su una o più censure avanzate dal ricorrente rappresenta un vizio della relativa sentenza che il giudice di appello è legittimato a sanare, decidendo nel merito.

Ciò premesso, nel merito della questione il Consiglio di Stato propone una ricostruzione preliminare di come opera il regime della nullità degli atti nell'ambito del diritto amministrativo. La norma base è contenuta nell'articolo 21 – septies della legge 241/90, secondo cui la nullità del provvedimento amministrativo è riconducibile ad alcune ipotesi specificamente indicate: mancanza degli elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione in capo all'autorità emanante, violazione o elusione del giudicato, nonché gli altri casi espressamente previsti dalla legge.

La giurisprudenza amministrativa consolidata ha sempre dato un'interpretazione restrittiva di questa norma. Ciò in relazione al principio fondamentale del diritto amministrativo secondo cui il vizio tipico del provvedimento amministrativo è quello dell'annullabilità, mentre la nullità rappresenta un'ipotesi eccezionale e residuale, ammessa nei soli casi tassativamente previsti dal legislatore.Tra questi casi – come visto poco sopra – il legislatore ha indicato una ipotesi di carattere "aperto", che fa riferimento all'esistenza di esplicite previsioni normative che stabiliscono la nullità del provvedimento amministrativo. Tra queste ipotesi così dette di nullità testuale rientra anche quella prevista dall'articolo 83, comma 8 del D.lgs. 50 in materia di cause di esclusione dalle gare. La norma stabilisce che ai fini della partecipazione alle gare i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni (clausole) a pena di esclusione oltre a quelle previste dallo stesso D.lgs. 50 o da altre disposizioni di legge, sancendo la nullità di tali eventuali prescrizioni.

La disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la sanzione della nullità è in realtà diretta a colpire l'imposizione (illegittima) di adempimenti e prescrizioni di carattere formale, ma non è diretta contro prescrizioni di gara che attengono a requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnica, essendo volte ad accertare la solidità di tali requisiti.In relazione al caso di specie, questo principio affermato dalla giurisprudenza va peraltro letto alla luce della disciplina delle concessioni. Il D.lgs. 50 stabilisce che alle concessioni di lavori e di servizi si applicano, per quanto compatibili, le regole procedurali dettate per gli appalti in relazione a una serie di profili, tra cui anche i motivi di esclusione.Questa previsione di compatibilità va valutata alla luce dell'oggetto specifico della concessione di cui si controverte. Essa ricomprende lo svolgimento del servizio finalizzato all'esercizio delle attività sportive e ludico ricreative, che a sua volta presuppone l'utilizzo da parte del concessionario, dietro pagamento di un canone, di aree demaniali nella disponibilità dell'ente concedente.

Coerentemente alla natura e alle caratteristiche della concessione, è dunque previsto che l'ente concedente possa attribuire al concessionario l'utilizzo di un bene necessario allo svolgimento dell'attività, cosicchè la concessione reca in sé congiuntamente i caratteri della concessione di servizi e della concessione di beni. In questo contesto è previsto (art. 172, comma 1 D.lgs.50) che gli enti concedenti possano verificare la capacità economica e finanziaria dei concorrenti, fermo restando che le clausole finalizzate a tale verifica devono essere caratterizzate dal requisito della proporzionalità, valutato in relazione alla necessità di garantire la capacità del concessionario ad eseguire le prestazioni oggetto della concessione.

Alla luce dell'insieme di queste previsioni il Consiglio di Stato ha ritenuto che la clausola inserita dall'ente concedente volta ad escludere coloro che avessero debiti pendenti con la pubblica amministrazione fosse da considerare legittima. Tale clausola infatti non introduce alcun adempimento di natura meramente formale, ma è piuttosto finalizzata a verificare la capacità economica e finanziaria dei concorrenti – sotto lo specifico profilo del loro pregresso adempimento delle obbligazioni pecuniarie nei confronti della pubblica amministrazione - che è strettamente correlata alla loro idoneità a eseguire le prestazioni oggetto della concessione. Si tratta peraltro di una clausola che risponde pienamente a quel canone di proporzionalità che lo stesso legislatore indica ai fini di verificare la legittimità delle prescrizioni volte ad accertare la capacità economico – finanziaria degli aspiranti concessionari. Ciò anche alla luce del fatto che l'oggetto della specifica concessione di cui si discute prevede che a fronte della disponibilità di aree il concessionario sia tenuto al pagamento di un canone, rendendo quindi essenziale la verifica in merito alla capacità dello stesso di pagarlo effettivamente, che si può e si deve legittimante desumere anche dal suo pieno adempimento ad obbligazioni similari in relazione a rapporti pregressi.

L'estensione del principio a tutte le concessioni
Come più volte detto, il principio affermato dal Consiglio di Stato riguarda un caso di concessione caratterizzato dall'obbligo del concessionario di pagare un canone a fronte della messa a disposizione di un'area demaniale. Se in questo caso la clausola di esclusione collegata all'esistenza di debiti pregressi dei concorrenti nei confronti della pubblica amministrazione ha una sua chiara pertinenza con l'oggetto della concessione, si può tuttavia ragionevolmente ritenere che la stessa possa mantenere una sua validità anche per altre tipologie di concessioni, in cui non vi sia la concessione di un bene pubblico. Nell'istituto concessorio in sé considerato l'adeguata capacità economico – finanziaria degli aspiranti concessionari è infatti un elemento centrale, e può essere ragionevole consentire che tale capacità sia verificata anche in relazione al corretto adempimento delle obbligazioni pecuniarie nei confronti delle pubbliche amministrazioni in relazione a rapporti pregressi, indice di una solidità e attendibilità dei concrrenti nel far fronte ai lori impegni.

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