Concorsi, legittimo il licenziamento di chi è assunto senza i «requisiti extra» richiesti dal bando
Rientra nella discrezionalità della Pa individuare «ulteriori» impedimenti all'ammissione alla procedura
Chi fa domanda per un concorso pubblico deve accettare (tutte) le regole prescritte nel bando a meno che non voglia impugnarlo per tempo ovviamente. Ma se vi partecipa, persino vincendolo, ha ben poco da obbiettare se all'esito dei controlli è risultato privo di alcuni dei requisiti richiesti. E ciò vale anche se il bando in questione richiedeva requisiti più stringenti rispetto alle ordinarie prescrizioni del regolamento generale sui concorsi del 1994 e del vigente Testo unico sul pubblico impiego.
Sono queste le argomentazioni della sentenza n. 4057/2021 con cui la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un pubblico dipendente, già in ruolo se pur sprovvisto all'epoca del concorso dei requisiti in materia di elettorato passivo negli enti locali, laddove a ben vedere, la normativa generale fa riferimento alle sole norme sull'elettorato attivo.
I giudici di legittimità hanno chiarito che rientra nella discrezionalità della singola Pa individuare «ulteriori» circostanze ritenute ostative all'ammissione alla procedura concorsuale. Un perimetro che si fa tanto più stretto quanto maggiore è il «grado di affidamento» richiesto nella specificità delle mansioni ricercate. E a nulla vale il momento del riscontro dei «requisiti extra»: il datore di lavoro pubblico è sempre tenuto al rispetto del principio di legalità.
I requisiti generali
Già il testo unico del 1957 aveva disposto che non potevano accedere agli impieghi pubblici coloro che erano stati esclusi dall'elettorato politico attivo. Analogamente il più recente regolamento generale sui concorsi del 1994 ha disposto che non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato politico attivo ovvero che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego o dichiarati decaduti. E in entrambi i casi la disciplina ha precisato chiaramente che i requisiti devono essere posseduti alla data di scadenza del bando di concorso.
I requisiti «ulteriori»
La possibilità di prescrivere «requisiti ulteriori» era già prevista dal suddetto testo unico del 1957 laddove aveva evidenziato questa facoltà per l'ammissione «a particolari carriere» o «particolari profili professionali di qualifica o categoria». Disciplina mai abrogata dalla normativa successiva che anzi nei singoli comparti ne ha richiamato la lettera e applicato concretamente senso e scopo. Una simile scelta risponde alle esigenze proprie di ogni settore, poggiando sul diverso «grado di garanzia» richiesto al personale da selezionare. In altre parole rientra tra le prerogative dell'ente reclutante, l'opportunità di indicare requisiti integrativi rispetto a quelli «minimi» stabiliti dalla disciplina generale.
L'invalidità del contratto di lavoro e il licenziamento
Per altro verso è innegabile che l'ente ha l'obbligo di verificare «tempestivamente» la sussistenza dei requisiti di ammissione al concorso. Tuttavia il datore di lavoro pubblico è in ogni caso tenuto ad attenersi ai precetti obbligatori di legge. Più precisamente, a partire dalla conclusione del contratto, la Pa non esercita più poteri di carattere autoritativo ma agisce con le «capacità proprie del datore di lavoro privato», con la conseguenza che non può far valere il vizio della procedura concorsuale attraverso lo strumento della cosiddetta «autotutela». Pertanto, definita la fase concorsuale e assunto il dipendente, il possibile vizio del contratto di lavoro deve essere ricondotto a una delle categorie standard del diritto civile. È quindi da considerare «nullo» il contratto di lavoro stipulato in base a un reclutamento illegittimo.