Contratto di servizio e revisione prezzi, l'adeguamento del canone va sempre motivato
Senza riduzioni ingiustificate rispetto alle variazioni degli indici Istat
Nel vuoto normativo conseguente alla mancata attuazione del meccanismo prescritto per la revisione prezzi, l'adeguamento del corrispettivo spettante all'impresa va riconosciuto nei termini previsti dal capitolato di appalto, senza riduzioni ingiustificate rispetto alle variazioni degli indici Istat. Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la sentenza n. 96/2023.
Il fatto
Nel 2007 un Comune ha stipulato un contratto per la gestione dei servizi di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e assimilati nel proprio territorio, per il periodo dal 1° dicembre 2006 al 30 novembre 2011 e a fronte di un canone annuo pari a 2.487.500 euro. Per tale canone il capitolato di appalto prevedeva un «aggiornamento annuale secondo quanto previsto dall'articolo 44 della legge 724/1994 e in contraddittorio con la stazione appaltante», fermo restando che «la percentuale di variazione da applicarsi al canone risulterà come media ponderata delle percentuali di variazione subite dai parametri relativi al costo di esercizio degli automezzi, ai costi dei materiali di consumo e ai costi del personale» sulla base dei rispettivi indici Istat.
Tenuto conto di ciò l'impresa, al termine del contratto, ha richiesto la revisione prezzi in applicazione della relativa clausola, sostenendo di essere in credito dell'ente locale per la somma di 414.408,25 euro più Iva.
Di contro il Comune, per nulla persuaso del criterio metodologico adottato dal gestore, nominava un esperto contabile per la valutazione di congruità e questi, con relazione del 3 giugno 2013, concludeva che «l'importo del compenso revisionale che il Comune potrà riconoscere alla società… dovrà essere contenuto nel limite massimo di € 168.387,52 Iva inclusa», per effetto dell'articolo 115 del dlgs 163/2006 (ora sostituito dall'articolo 106 del dlgs 50/2016), ai sensi del quale «tutti i contratti a esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5». L'ulteriore complicazione insita nell'iter di revisione sta nel fatto che il sopra richiamato articolo 7 prevedeva un meccanismo che non è mai stato attuato, ossia che l'Osservatorio dei contratti pubblici – in collaborazione con l'Istat – avrebbe dovuto fornire i dati in questione, pubblicando i «costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali».
L'onere di motivazione
In tale vuoto normativo, l'esperto nominato dal Comune si è attenuto all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tale caso l'adeguamento deve avvenire secondo il cosiddetto indice Foi, ovvero l'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Facendo leva sull'incertezza normativa, l'ente pubblico ha adottato una delibera di Giunta che, pur recependo le conclusioni dell'esperto, ha però sensibilmente ridotto l'entità della maggiorazione dovuta, determinandola in 65.807,97 euro.
Mentre il Tar Lazio ha respinto il ricorso dell'impresa, ritenendo congrua la liquidazione di tale importo, Palazzo Spada ha accolto l'appello e ha annullato l'impugnata delibera di giunta per difetto di motivazione, evidenziando che nel quadro normativo descritto il canone doveva essere aggiornato facendo una corretta applicazione dell'indice Foi, senza riduzioni di importo ingiustificate e lesive dei diritti spettanti all'impresa.